Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo Fiat, fa quello che può, ma non quello che vorrebbe. La firma di un memorandum d’intesa con Bmw per realizzare delle sinergie per la produzione delle piccole Alfa Romeo e delle Mini è un passo significativo per il Lingotto, ma non è decisivo. Neanche la ventilata ipotesi di un accordo per vendere le auto del Biscione negli Usa utilizzando la rete della casa tedesca serve a gran che. Almeno fino a quando il dollaro è così a buon mercato rispetto all’euro e non ci sono stabilimenti produttivi Fiat in Nord America, l’arrivo delle rosse Alfa Romeo sul mercato Usa è più un’operazione di facciata che un business vero e proprio. In Fiat sanno bene, anche perché sono leader di mercato in Brasile e con i real incassati laggiù coprono molte delle magagne dei bilanci del settore auto, che i margini di guadagno e i numeri per coprire i costi fissi si fanno nei paesi emergenti, quelli del Bric (Brasile, Russia, India e Cina) e non solo.
L’esempio più negativo è la Cina dove la joint venture con Nanjing è saltata e la fabbrica in comune è stata venduta a Saic-Volkswagen. Ora il Lingotto sta discutendo con Chery, ma i colloqui sembrano ancora in alto mare. Risultato, nel 2007 in Cina sono state immatricolate 5,2 milioni di vetture, Volkswagen in joint venture con produttori locali ne ha vendute poco meno di un milione e Fiat soltanto 11mila. In India, invece, l’accordo con Tata sembra essere solido, ma non si hanno notizie dell’inizio della produzione nel nuovo stabilimento in comproprietà da 100mila auto l’anno, prevista per i primi mesi del 2008. E Fiat ha venduto da aprile 2007 a febbraio 2008 un totale di 2.997 auto. Niente in confronto alle 645mila di Maruti o alle 200mila di Tata. E anche molto meno delle 12mila di Skoda o delle 30mila di Ford.
Le auto italiane, invece, si difendono bene in Polonia dove c’è lo stabilimento che produce Panda e 500, ma sono surclassate dai concorrenti in Bulgaria, Lituania e Repubblica Ceca. In questi Paesi la vendita delle auto Fiat ha numeri piccoli, ma sempre migliori di quelli di Lancia e Alfa Romeo la cui presenza è «omeopatica», insignificante, al di sotto o poco sopra la decina di auto al mese.
Resta solo il Brasile, gioia e delizia del Lingotto, storico insediamento oltreoceano del marchio Fiat che da alcuni anni è leader del mercato auto. Nel Paese sudamericano il problema è proprio l’abbondanza e la leadership. Gli affari sono andati talmente bene negli anni passati che gli stabilimenti non ce la fanno più a reggere il ritmo di crescita. Nel Minas Gerai si lavora da tempo su tre turni e in tutte le festività si assumono nuovo operai. Ma la capacità produttiva è satura. Marchionne, all’inizio dell’anno, ha promesso di investire 2 miliardi di dollari per crearne una nuova. Ma il denaro potrebbe arrivare tardi. L’unica speranza di evitare il sorpasso di Volkswagen è che il mercato rallenti, si prenda una pausa e dia tempo a Fiat di fare gli investimenti e realizzare nuovi stabilimenti. Ma se l’obiettivo di Fiat resta quello di commercializzare 3,5 milioni di vetture di cui 2,6 prodotte all’estero, non è questa la strada giusta.