La buona notizia è che, almeno per ora, l’Italia sfugge allo spettro recessione. Le cattive nuove, però, abbondano: i venti di crisi dell’economia globale annunciano il “perfect storm” anche sui cieli della Penisola. La prima emergenza, in ordine di tempo, arriva dalla grande Germania, che resta la locomotiva più importante per il made in Italy. Ieri mattina l’indice Zew, che misura la fiducia dell’industria, ha segnalato il dato peggiore dal dicembre 1991, data d’inizio delle rilevazioni. Le statistiche dimostrano che lo Zew è un indicatore abbastanza fedele delle tendenze dell’economia nei sei mesi successivi. Il dato di martedì, perciò, lascia prevedere un finale d’anno all’insegna del brutto tempo. E nemmeno i più ottimisti se la sentono di smentire l’indicazione per quella che è la prima locomotiva dell’export mondiale: non è il caso di chiedersi se si è di fronte alla crisi. Ma quanto durerà.
Il dato, sconfortante, non tiene però conto dell’allarme, drammatico, in arrivo dagli Usa. Il rischio di default di Freddie Mac e Fannie Mae, le due agenzie nazionali dei mutui, è ben più di un campanello d’allarme: più del 40% dei mutui fondiari Usa per la stratosferica cifra di 5 mila miliardi di dollari (su 12 mila miliardi dell’intero parco dei prestiti sulla casa Usa) sono direttamente garantiti dalle due società che, al contrario di quanto comunemente si crede, non godono di un’esplicita garanzia federale. O, almeno, non godevano. Perché Washington è stata obbligata a correre ai ripari per evitare il disastro: il fallimento delle due agenzie, infatti, sarebbe una catastrofe assoluta. Ma il salvataggio, alza il debito “teorico” dello Stato federale da 9 mila a 14 mila miliardi di dollari, un’ipoteca schiacciante per la prossima amministrazione Usa. E per la stessa tenuta dell’economia globale, visto che una parte rilevante di quei debiti sono oggi nelle mani di Cina, Giappone e altri Paesi asiatici. Di qui la doppia confessione di Ben Bernanke, il governatore della Fed: da una parte le autorità monetarie non possono escludere che l’economia reale, che finora ha retto alle mazzate della crisi, debba rivedere al ribasso le sue stime; dal’altra, le tensioni inflazionistiche, legate all’aumento delle materie prime (in buona parte legato all’eccesso di liquidità) rendono impossibile un intervento a sostegno dell’economia, per non correre il rischio di uno tsunami sui prezzi.
E’ in questa cornice che va inquadrata l’analisi di via Nazionale che offre poco spazio alle illusioni. La produzione industriale, dopo il forte calo di maggio, è debole e dovrebbe registrare «una contrazione di circa un punto percentuale nel secondo trimestre», anche perché le inchieste congiunturali di giugno, recita il bollettino di via Nazionale, hanno segnalato «un nuovo peggioramento del clima di fiducia di imprese e famiglie». Inoltre, mentre si avvertono i primi segnali di una «stretta creditizia» sulle imprese (nei primi 5 mesi gli impieghi sono scesi dell’ 8,7%), sopratutto al Sud, la competitività dei prodotti italiani per Via Nazionale sta peggiorando sia per effetto di «una crescita della produttività che rimane inferiore a quella delle principali economie dell’area euro» sia per effetto dell’apprezzamento della moneta unica.
La cornice, insomma, è tutt’altro che positiva. Sulle nostre spalle cade il peso di una crisi che viene da fuori: «In assenza dell’accelerazione dei prezzi osservata dal 2007 – si legge nel bollettino – il reddito disponibile reale sarebbe cresciuto, sino alla metà del 2008, di oltre l’1 per cento in più di quanto non sia effettivamente avvenuto, e del 3 per cento se si tiene conto delle perdite di valore reale della ricchezza finanziaria. Ne sarebbe conseguita una crescita complessiva dei consumi nel biennio 2008-09 superiore di circa 2 punti percentuali a quella qui prefigurata». Ma non prendiamocela solo con i subprime, frutto dell’ingordigia cieca della finanza o con l’aumento del greggio, che ha tanti responsabili. Non dimentichiamo che, negli anni delle vacche grasse, abbiamo sprecato la stagione dei tassi bassi, dell’euro forte e della congiuntura internazionale positiva senza mettere ordine in casa. Con assoluta miopia, come dimostrano insensate illusioni sul valore dell’Alitalia. Ora gli spazi di manovra sono assai più ridotti di quanto già non si prevedesse pochi mesi fa, al momento di mettere a punto il Dpef, e il piano della finanzaria a tre anni. E ne dobbiamo predere atto. Per fortuna, rispetto ad altre economie più flessibili o più drogate dagli investimenti nell’edilizia, l’Italia patisce gli svantaggi di una crescita frenata che, nei momenti di crisi, fanno da scudo nei confronti della recessione. Ma, d’altro canto, l’Italia affronta la curva più buia del tunnel in condizioni di stress psicologico eccezionale: consumi in calo, incertezza delle famiglie, minaccia al welfare in arrivo sul fronte della sanità e della previdenza.