Ci sono tanti modi per concepire un partito. C’è chi lo concepisce come luogo dove può nascere l’opportunità di cambiare un paese. C’è invece chi lo concepisce come luogo di spartizione del potere, dove la distribuzione delle cariche diventa il fine dell’attività politica, passando attraverso il metodo dei veleni, delle calunnie e della divisione in finte correnti. Non ci sono dubbi sul fatto che sia di gran lunga preferibile la prima impostazione. Silvio Berlusconi, la scorsa settimana, con il suo appello all’unità del partito, ha puntato con decisione ad un rilancio del Popolo della Libertà. Mi permetto di riprendere alcune delle parole del Presidente del Consiglio apparse la settimana scorsa sul sito del Pdl: “Non riusciranno nel loro intento se noi saremo uniti, se il Popolo della Libertà sarà unito attorno al proprio governo, consapevole dei grandi risultati finora ottenuti, coeso tra leader, dirigenti e popolo. La forza del nostro stare insieme è nella moralità del fare. Proprio per questo cercano di toglierci l’orgoglio di essere nel Popolo della Libertà, motore principale del governo del fare”.
Parole di unità quindi quelle del Presidente. Unità che purtroppo non sembra essere voluta da tutti nel partito. L’intervista di Gianfranco Fini pubblicata ieri dal Foglio, nella quale chiedeva di “resettare tutto, senza risentimenti”, non basta a cancellare mesi di veleni e colpi bassi. La conclusione a cui si è arrivati ieri sera, con l’approvazione di un documento di censura per il Presidente della Camera insieme ad alcuni suoi fedelissimi come Italo Bocchino, Carmelo Briguglio e Fabio Granata, è l’epilogo naturale di una situazione ormai insostenibile: “non ci sono più le condizioni per restare nella stessa casa”, è la sintesi del documento.
Clicca >> qui sotto per continuare l’articolo
Sia chiaro, un conto è avere opinioni differenti. Ci mancherebbe altro che non venga costruito un compromesso sulla base di giudizi diversi. Un altro conto però è partire da una disistima e da un pregiudizio che nascondono, come già detto, logiche di lotta per il potere. Questo è il rischio se l’unità che cerchiamo non si fonda sulla verità. Italo Bocchino parla di “un partito come il Pdl che non ha sedi, circoli, segretari di sezione, presidenti di circoli, consiglieri regionali eletti dalla base. Esiste in Sud America e in alcuni Paesi asiatici”. Forse dimentica di aver a più riprese nel primo congresso e in svariate riunioni di dirigenti, difeso l’idea di un percorso che nel tempo arrivasse ad assicurarci proprio questi obiettivi. Quanto al Sudamerica e ai paesi asiatici sono riferimenti evocati mi sembra non in modo costruttivo, cioè per stimolare una maggiore democrazia interna, quanto piuttosto per creare le premesse per una rottura. Come interpretare diversamente le dichiarazioni di Fabio Granata sulle stragi di mafia?
Questi semplici esempi hanno lo scopo di sottolineare come fare l’unità partendo dalla verità significhi interrogarsi continuamente sullo scopo ultimo delle nostre azioni: che senso ha infatti chiedersi come e cosa deve essere un partito se poi ci si muove per distruggerlo. Dobbiamo fare memoria delle ragioni per cui ci siamo messi insieme e della responsabilità che abbiamo nei confronti del nostro paese. Questo partito infatti è nato per soddisfare il profondo bisogno di riforme della società italiana. Vale la pena ricordarlo ogni volta che si prende la parola contro i propri amici. E se lo ricordi anche chi, in questi giorni, parla impropriamente di “rispetto per gli elettori”: lasciare aperta la porta di una collaborazione può avere senso solo a questa condizione.