Come battuta non c’è male: di questo passo, il Trentino Alto Adige otterrà il suo sbocco al mare. Strada improbabile e comunque lunghissima, che potrebbe venire aperta dalla clamorosa iniziativa con cui la Provincia di Belluno ha votato per la richiesta di trasloco nella confinante regione super-autonoma. E che si somma ai 16 Comuni bellunesi, vicentini e veneziani che hanno già approvato un referendum per passare con Trento o Bolzano, o con il Friuli-Venezia Giulia; e ai 6 che hanno appena annunciato analoga intenzione, dopo che il fondo di solidarietà istituito un paio d’anni fa per i Comuni confinanti con Regioni a statuto speciale è stato brutalmente tagliato del 70%, sprofondando da 91 a 22 milioni di euro.
Negli stessi giorni, dodici municipi veneti guidati da quello padovano di Loreggia hanno polemicamente chiuso per un giorno i battenti, e intendono farlo ogni mercoledì, per richiamare l’attenzione sul salasso inflitto ai loro bilanci dal patto di stabilità. Un esempio per tutti: Loreggia, capofila della rivolta, nel 2007 ha sforato il patto per aver realizzato la rete di distribuzione del gas con una spesa di 2,4 milioni, metà coperta con mezzi propri e metà con un mutuo. Morale: è stato penalizzato per questo subendo un taglio alla spesa del 58%.
La tendenza è in atto da anni, così che appunto qualche bello spirito ha ipotizzato che, siccome ogni area confina con qualcun’altra, un po’ alla volta tutti i Comuni potrebbero chiedere di andarsene con il benestante Trentino Alto Adige, che così si troverebbe ingrandito fino a conquistare il bagnasciuga dell’Adriatico. Fantascienza, certo; dietro la quale stanno con tutta evidenza non certo aspirazioni identitarie (concretamente limitate semmai solo alla piccola enclave ladina del Bellunese), ma una concretissima questione di fondi.
Facendo i conti in tasca ai colleghi delle due Province autonome, i sindaci veneti toccano con mano quanta e quale sia la differenza; e ci provano. Il salto arriva adesso, passando dai singoli municipi a un’intera provincia. Ma è tutt’altro che cronaca di questi giorni: siamo in presenza di un’aspirazione remota, visto che già nell’ottobre 1967 l’associazione commercianti di Belluno, alla vigilia del varo delle Regioni a statuto ordinario, aveva lanciato l’idea di costituire una Regione dolomitica con la stessa Belluno, Trento e Bolzano.
Trent’anni più tardi, nel 1997, un disegno di legge costituzionale di Alleanza Nazionale proponeva l’istituzione di una Regione Dolomitica limitata peraltro al solo Bellunese, con due capoluoghi (Belluno e Feltre). E nel 2009, l’allora presidente della Provincia di Belluno, Sergio Reolon, aveva prospettato l’idea di una Regione dolomitica larga, comprendente Bolzano, Trento, Belluno, Pordenone e Udine.
Che prospettive ci sono che uno di questi scenari si verifichi, o quanto meno che il referendum cui saranno chiamati i bellunesi per passare col Trentino Alto Adige si traduca in fatti concreti? Diciamolo con tutta chiarezza: nessuna. Siamo in presenza di una sorta di grande recita in cui ciascuno fa la propria parte, con la segreta consapevolezza che solo di recita si tratta, e che al massimo il risultato può essere quello di richiamare un’attenzione vasta sulle pesantissime difficoltà in cui versano le aree di montagna.
Non è solo questione del lunghissimo iter che un trasloco di regione comporta. C’è soprattutto il fatto che né Trento, né tanto meno Bolzano, accetteranno mai di ospitare un terzo inquilino con cui condividere risorse che oltretutto si stanno riducendo anche per loro. Ci penserà allora il federalismo a porre rimedio, come garantisce la Lega, potenziando l’autonomia e il fondo-cassa bellunesi?
Scenario remoto: il federalismo fiscale andrà a regime, se anche sarà, nel 2019. Fino ad allora, saranno possibili solo interventi normativi e finanziari della Regione Veneto. Che ha comunque sulla coscienza la colpa di aver sempre trascurato Belluno per concentrarsi sullo sviluppo dell’area centrale, fin da quando la Democrazia Cristiana era largamente egemone.
Denunciava nel 1978 Arnaldo Colleselli, senatore, uomo di punta della Dc bellunese: “A Venezia di programmazione seria, che tenga conto delle esigenze di Belluno, non si è mai parlato”. Per la cronaca: a Venezia-Regione, in quegli anni, la Dc aveva il 48%, e fino a poco prima era in maggioranza assoluta. Se sono stati trascurati, e lo sono stati, i bellunesi di oggi sanno chi devono ringraziare.