Le contraddizioni interne all’Unione europea producono mostri. L’Esm, il meccanismo europeo di stabilità introdotto per far fronte agli eventuali rischi dei debiti sovrani, include alcune paradossali anomalie. Si prevede che il sistema, a regime, disponga di una potenza di fuoco di 700 miliardi di euro. Buona parte di essi saranno recuperati attraverso l’emissione di obbligazioni. Per ora, in ogni caso, azionista di maggioranza dell’organismo è la Germania che, a oggi, ha messo a disposizione 17,3 miliardi di euro. Seguono Francia (14,3) e Italia (11,4). Si dà il caso che quei soldi, attualmente, come deduce Federico Fubini su Repubblica, siano utilizzati per acquistare Bund tedeschi. L’Esm non divulga in maniera trasparente i criteri di gestione del proprio captale. Quel che è certo è che non può acquistare titoli con rating inferiori alla doppia A. Come quelli tedeschi. È comprensibile, sono i titoli più sicuri. Peccato che, così facendo, il tasso dei Bund cali, facendo aumentare lo spread con i titoli degli altri paesi. In sostanza, sovvenzioniamo la Germania con i soldi dell’Esm. In cambio, ne risultiamo indeboliti. Abbiamo parlato di tali contraddizioni con Gustavo Piga, professore di Economia politica presso la facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
Come giudica l’eventualità che l’Esm acquisti Bund?
Non sappiamo quanta liquidità viene investita in Bund. Inoltre, dubito che il tasso di interesse tedesco sia sensibile alla nuova domanda. Esso, infatti, è un benchmark, un parametro di riferimento tenuto in costante relazione con un altro benchmark, normalmente il tasso dei titoli americani. Quel che conta, per gli investitori, è che resti costante lo spread tra questi due.
Non crede che, in ogni caso, il fatto che l’Esm investa in titoli di Stato con la doppia A rappresenti una distorsione del mercato a svantaggio dei paesi con un rating più basso?
Indubbiamente. Tuttavia, l’impatto sullo spread, verosimilmente, è di pochi punti base. La vera contraddizione del Fondo salva stati è un’altra.
Quale?
L’Esm, per salvare gli Stati, impone come condizione maggiore austerità. I paesi che accettano il suo aiuto non possono far altro che assistere al peggioramento della propria economia e all’aggravarsi della recessione. La follia del Fondo è che condiziona la politica monetaria espansiva alla politica fiscale restrittiva.
Se è così svantaggioso, perché gli Stati europei l’hanno sottoscritto?
Per inciso, Monti l’ha approvato, ma si è ben guardato dall’utilizzarlo. Detto questo, c’è una generale e totale incapacità di comprendere la natura di questa crisi economica. Il modello che le persone al timone dell’economia hanno in mente è del tutto sbagliato.
In che senso?
Ancora non si è compreso che le crisi di ottimismo, in cui la gente non consuma e non investe più, non possono che essere affrontate con la leva della domanda e della spesa pubblica. Le teorie keynesiane vanno utilizzate con estrema cautela. Questo, a differenza degli anni ‘70, quando se ne fece un impiego massiccio a fronte di una crisi che, tuttavia, era legata all’offerta, è il caso tipico in cui è doveroso farvi ricorso.
Invece, si insiste con il rigore.
Il problema è che tutti gli elementi o i margini di manovra di cui si parla da mesi in relazione a parametri quali il tetto del 3% al rapporto deficit/Pil sono minimali rispetto alle esigenze reali dell’economia. In questa fase, la variabile fondamentale non è lo spread, ma il lavoro. Non ci si rende conto che il fattore che deve maggiormente spaventare è, in Italia, la disoccupazione (quella giovanile è sopra il 40%); e neppure che dalla paura della gente potrebbe originarsi il momento in cui cesserà la prospettiva di mantenimento dell’euro e, con essa, quella dell’esistenza dell’Unione europea. Di conseguenza, l’influenza del nostro Continente risulterà pressoché azzerata almeno per i prossimi 30 anni. La gente, per aderire a un progetto, ha bisogno di poterlo vivere serenamente. Senza occupazione, non è ovviamente possibile.
(Paolo Nessi)