Romano Prodi – ex premier in Italia ed ex presidente della Commissione Ue – si cruccia e s’indigna a per la “serva Italia”, “Croce Rossa de migranti”, Stato a sovranità ridotta o nulla in Europa, terreno di scorrerie finanziarie oggi come ieri, come sempre. Nella registrazione scupolosa dei fatti e nella loro analisi elementare il Professore non ha torto: ma alla bisogna sarebbe bastato uno junior del giornalismo o dell’università.
A Prodi – come ad altri policy/opinion maker italiani – può e deve essere chiesto altro. Per esempio: lui dov’era, cosa pensava/diceva/scriveva nell’estate 2011? Non un secolo fa. È stato allora che la Francia – sempre Parigi – ha mosso guerra non dichiarata alla Libia (si è detto anche perché il presidente Nicolas Sarkozy aveva intrattenuto rapporti “anomali” con il colonnello Gheddafi) con l’appoggio degli Usa di Barack Obama, premio Nobel per la pace “a prescindere”. La “bonanza degli scafisti” nel canale di Sicilia è nata allora: contemporaneamente all’attacco speculativo allo spread italiano (Prodi, storico international advisor della Goldman Sachs, ricorda niente?).
È stata l’estate degli sberleffi in pubblico all’Italia da parte della cancelliera “democristiana” Angela Merkel; l’estate dei grandi media italiani che si rincorrevano a strillare “Fate presto” (a cacciare Silvio Berlusconi e a insediare Mario Monti). Prodi, naturalmente, risultò “non pervenuto” nel chiedersi se la credibilità del sistema-Paese non stesse pericolosamente scendendo sotto la linea rossa, se non fosse il caso di far qualcosa contro il gioco al massacro. Se per un politico di lungo corso come lui non fosse l’occasione di meritarsi il grado di “statista”. Voltò la testa dall’altra parte, ma due anni dopo il minimo di credibilità venne negato a lui – anzitutto dai suoi compagni di partito – al voto decisivo per l’elezione al Quirinale. Sei anni dopo l’estate nera del 2011, in ogni caso, cancellerie e media non hanno fatto alcuna differenza fra Prodi e Berlusconi alle recenti esequie europee di Helmut Kohl. Anzi: per la Merkel sono oggi più importanti le mosse del Cavaliere (se-si-votasse-oggi…) piuttosto che gli spostamenti di tenda del Professore a nord o a sud dell’Emilia.
E il chiasso attorno a Tim? È formalmente francese da due anni e Vivendi è entrata nel modo più amichevole e trasparente, con acquisti sul mercato di azioni di una società abbandonata da tempo dal Sistema-Italia. Dal 2007 al 2015, dopo l’uscita di scena di Pirelli, Telecom Italia è stata controllata da Mediobanca-Generali (di cui Vincent Bolloré condivideva già il controllo) e da Telefonica de Espana. Nessuno ha il diritto di stracciarsi le vesti sulla nomina di management francesi al vertice di Tim: poteva anzi avvenire molto prima. Meno che mai ne ha diritto Prodi che era premier quando Telecom è stata privatizzata e ha posto la più importante controfirma alla decisione di vendere il campione italiano delle tlc “in stile Goldman Sachs”: accettando il primo diktat della Ue (patto Andreatta-Van Miert), optando per l’Opv integrale in Borsa e privando lo Stato dell’incasso del premio di maggioranza; lasciando che la famiglia Agnelli investisse solo nello 0,6 per cento e aprendo le porte a tutte le scorriere successive (prima fra tutte quella della “razza padana” appoggiata dal governo D’Alema).
Ha ragione Prodi: su tutto (la Libia, la Francia, la difesa delle “aziende-Paese” in Italia e in Europa, etc) l’Italia dovrebbe cambiare tutto e in fretta. Dovrebbe mettere una pietra sopra alla “Seconda Repubblica di Prodi”.