Sembra vicino un momento chiave per l’economia italiana. La recessione c’è e si è vista anche nelle rinunce di molti italiani in questo periodo di vacanze. Dal Meeting di Rimini sia il Premier Mario Monti che il ministro Corrado Passera hanno però rilasciato dichiarazioni ottimiste sull’uscita dalla crisi. Rafforzate poi da un report dell’agenzia di rating Moody’s, secondo cui l’anno prossimo il nostro Paese potrebbe uscire dal pantano. Ma un’altra delle “tre sorelle”, Standard & Poor’s, ritiene invece che la situazione di Usa e Ue non migliorerà nel 2013, con il rischio di una recessione a W o “double dip”. Il quadro è dunque molto incerto e a farne le spese rischiano ancora di essere i giovani. Ilsussidiario.net ha voluto analizzare la situazione con Alessandro Benetton – Presidente di un importante gruppo industriale italiano, proprietario di un brand conosciuto in tutto il mondo – che oggi sarà ospite del Meeting di Rimini.
Proprio dalla kermesse riminese prima Monti e poi Passera hanno lanciato messaggi di ottimismo su un’uscita dalla crisi. Cosa ne pensa? Si vede davvero la luce fuori dal tunnel?
È sicuramente incoraggiante che, sia tra esponenti del Governo, sia in un contesto internazionale, cominci a diffondersi la sensazione che finalmente il nostro Paese possa riprendere a crescere. Essere ottimisti del resto è fondamentale per poter continuare a progettare e a immaginare a lungo termine, ma anche per vedere nei momenti di crisi opportunità di cambiamento. Noi che siamo sul campo con 2500 negozi in Italia, purtroppo, constatiamo che, almeno a oggi, il quadro continua a rimanere critico.
In vista sembrano esserci nuovi provvedimenti dell’esecutivo per lo sviluppo. Quali sono, a suo giudizio, le esigenze più immediate e importanti per contrastare la recessione?
Meno burocrazia, incentivi all’avvio di nuove imprese e, certamente, una volta messi in sicurezza i conti, un alleggerimento della pressione fiscale, soprattutto sulle imprese e sul lavoro. Ma è fondamentale anche incentivare gli investimenti nel nostro Paese, oltre che puntare su settori molto vitali, e purtroppo poco valorizzati, come la cultura e il turismo. Naturalmente non si potrà uscire dalle attuali difficoltà senza iniziare a investire veramente sulle giovani generazioni.
A questo proposito, una delle mostre di questo Meeting è dedicata al ruolo dei giovani per la crescita. E lei oggi parlerà di giovani e crisi. Cosa pensa di questo tema così importante, vista la situazione che si trovano ad affrontare i giovani italiani?
Credo sia davvero il tema cruciale, al di là di tutte le altre considerazioni. I giovani rappresentano senza dubbio la fascia che sta pagando il prezzo più alto della crisi. In Italia, i dati sulla disoccupazione giovanile sono allarmanti. Tuttavia, è importante sapere che abbiamo a che fare con un problema epocale, che riguarda anche altri paesi. Ovunque ci siano difficoltà economiche, i tassi di disoccupazione giovanile schizzano in maniera incontrollata. In Grecia e in Spagna, per esempio, un giovane su due è senza lavoro. Questo ci dimostra che, in Europa ma non solo, negli ultimi decenni si è deciso di scaricare tutto il rischio socialmente prodotto su una “fascia generazionale” di persone.
Con risultati che sono sotto gli occhi di tutti…
I giovani non hanno tutele, non hanno garanzie, hanno poche prospettive. Sono destinati a pagare i debiti e le colpe dei loro padri, a subire i danni all’ambiente prodotti negli ultimi decenni, a scontare le conseguenze di scelte poco lungimiranti. Come ha detto Mario Monti a Rimini, stiamo assistendo a un vero e proprio sperpero di energie e di capacità, che oggi sarebbero quanto mai preziose, anche per uscire dalla crisi.
Da più parti si sente più spesso parlare di declino economico italiano e di perdita di competitività del Paese (ne ha parlato anche a Rimini Passera). Cosa ne pensa?
Il tema della perdita di competitività è molto complesso e vasto, anche al di fuori della realtà italiana. In un contesto di globalizzazione, in generale tutto l’Occidente ha registrato un calo di competitività. Credo che il ministro Passera abbia però fatto bene a sottolineare, soprattutto in un periodo come quello che stiamo attraversando, che la competitività non deve essere svincolata dalla coesione sociale, e che è importante rafforzare non soltanto la capacità di competere sui mercati mondiali, ma anche quei nessi di solidarietà e coesione che sono anch’essi fondamentali per rilanciare uno sviluppo complessivo della società. Una società che ha molti punti di forza, molte risorse che ci vengono riconosciute anche all’estero.
Quali sono i punti di forza della nostra economia? Quali sono le critiche e i complimenti all’Italia che si sente più spesso rivolgere all’estero?
Senza dubbio l’Italia è per tutti la patria del gusto, del bello, ma anche del saper fare e dell’accoglienza. È su queste risorse che bisogna puntare. Ultimamente siamo tutti concentrati sui nostri difetti, ma non dobbiamo dimenticarci del nostro enorme potenziale. Come esempio, basti pensare all’ultimo rapporto annuale di Federculture, che conferma quanto vitale sia nell’economia italiana il settore della cultura. Dal 2008 – anno in cui è esplosa la crisi – a oggi, mentre in quasi tutti i settori si è registrato un calo, la spesa in attività culturali delle famiglie è aumentata di oltre il 7%. È importante saper cogliere questi segnali positivi, anche per capire in che direzione andare.
Benetton Group ha recentemente lasciato la borsa di Milano e ha intrapreso un percorso di rilancio. Quali sono le linee guida che state seguendo e con che risultati?
Siamo usciti dalla Borsa per rimetterci in gioco, sperimentare. La decisione di entrare nel mercato azionario, nel 1986, fu molto utile: il mercato si dimostrò un acceleratore di crescita e sviluppo. Oggi però abbiamo bisogno di ridefinirci e di ragionare a lungo termine, non per trimestri. La direzione che stiamo seguendo è quella di un marchio che sappia identificarsi sempre di più con i propri prodotti, rimettere al centro la qualità di una moda che non sia “usa e getta”. Questo è tra l’altro un nostro punto di forza, che ci distingue dai nostri concorrenti.
Quanto è importante per un gruppo industriale internazionalizzarsi? Quali sono le aree del pianeta che a suo giudizio presentano le prospettive migliori?
L’internazionalizzazione sarà sempre più un passaggio obbligato. Già da molti anni, ancora prima che si parlasse di globalizzazione, Benetton guardava al mondo come al proprio mercato di riferimento. Ancora oggi, la notorietà del marchio a livello globale e la capacità di adattarci ai gusti locali ci stanno dando ottimi risultati nei mercati emergenti.
(Lorenzo Torrisi)