“Renzi ha sprecato un’occasione d’oro per chiedere un cambiamento sistemico dell’Europa, preferendo invece di porsi sotto l’ala protettrice della Merkel nella speranza di guadagnare qualche decimale di flessibilità in più”. E’ il commento di Alfredo D’Attorre, deputato del Pd, a proposito della grande partita sul futuro dell’Europa innescata dalla crisi di un piccolo Paese come la Grecia. Da un lato la Germania, inflessibile nel chiedere maggior rigore, dall’altra la Francia, più schierata sulle posizioni del Fondo Monetario, mentre l’Italia ha scelto di restare in riserva proprio mentre ci si appresta a disputare la finalissima.
Ritiene che il governo Renzi avrebbe dovuto mettere in campo un’iniziativa diversa?
Per avere un’iniziativa occorreva una posizione distinta dalla signora Merkel e il coraggio di farla valere. A Renzi è mancata sia una cosa sia l’altra. Questo è il motivo per cui non si è minimamente percepito il ruolo dell’Italia nella vicenda greca. La cosa è doppiamente grave.
Perché?
A Tsipras è mancato un alleato fondamentale nell’unica vera battaglia politica che finora è stata mossa per cambiare le regole dell’Eurozona. Ma d’altra parte questa battaglia sarebbe stata nell’interesse dell’Italia, uno dei Paesi che potrebbe maggiormente beneficiare da una radicale correzione di rotta delle politiche dell’Eurozona. Siamo un Paese con un forte debito pubblico e abbiamo un governo che si è schierato totalmente dalla parte delle potenze creditrici. Una linea non solo sbagliata, ma francamente incomprensibile anzitutto alla luce degli interessi nazionali.
C’erano le condizioni per un’iniziativa dell’Italia?
Sì. Renzi ha sprecato una grande occasione dopo il risultato delle Europee. All’inizio del semestre italiano, avrebbe potuto mettere a frutto lo straordinario investimento di fiducia che il popolo italiano aveva fatto su di lui. Questo coraggio e questa visione lungimirante gli sono mancate. Ha cominciato il semestre dicendo che non metteva in discussione le regole, mentre sarebbe stato necessario che con quell’autorevolezza e quella forza ponesse un problema sistemico. E’ esattamente il problema che invece sei mesi dopo Tsipras ha avuto la forza e il coraggio di porre.
Davvero ritiene che Tsipras sia un modello di coerenza?
Sì. Il premier greco è rimasto fedele al mandato elettorale ricevuto, fino al punto da mettere in discussione la sua permanenza al potere con il referendum pur di non tradirlo. Così si fanno le battaglie politiche quando si hanno coraggio e coerenza con i propri convincimenti di fondo. Non con le chiacchiere e con i tweet che non costano nulla.
Il ruolo defilato di Renzi nasce solo da mancanza di idee o può essere una strategia?
La linea che Renzi e Padoan hanno scelto in questa vicenda è di rimanere sotto l’ala protettrice della Merkel, contando sul fatto che questo consentirà all’Italia di vedersi accordato qualche decimale di flessibilità in più. La situazione non si risolve certo guadagnando tempo, come dimostra il fatto che nonostante l’abbassamento del prezzo del petrolio, il calo dell’euro e il quantitative easing, quest’anno la crescita dell’Italia rimarrà sotto all’1%.
Renzi continua a ripetere “riforme avanti tutta”. E’ la scelta giusta?
Le riforme strutturali di cui parla Renzi sono la cura sbagliata che la Troika sta cercando da anni di imporre a tutti i Paesi dell’Europa Meridionale con effetti disastrosi. Il cardine sta nel rendere ancora più precario il mercato del lavoro. Renzi obbedendo puntualmente ai diktat della Merkel ha introdotto il Jobs Act.
Che cosa non ha funzionato?
Lo stesso Fmi ha riconosciuto che questo tipo di ricette durante fasi di rallentamento del ciclo economico non è destinato ad avere effetti positivi né sul Pil né sull’occupazione. E’ scritto ormai nero su bianco anche negli studi dell’Fmi, che per anni era stato il tempio delle ricette liberiste.
E le altre riforme del governo?
Renzi ha attuato una riforma nel campo della pubblica istruzione che tende a indebolire il carattere pubblico e universalistico della formazione, aprendo il campo all’intervento dei privati e alla crescita delle disuguaglianze tra singoli istituti. Sono ricette già applicate in altri Paesi, e che hanno avuto l’effetto di aggravare la crisi, non certo di risolverla.
Una delle critiche che si muovono a Renzi è di non avere tagliato la spesa pubblica e non avere abbassato la pressione fiscale. Lei al suo posto l’avrebbe fatto?
Margini per ulteriori tagli della spesa pubblica non ce ne sono. La spesa pubblica italiana va riqualificata, cioè va resa più produttiva, ma non può essere ulteriormente tagliata. Se scomputiamo ciò che lo stato spende per il pagamento degli interessi sul debito e per le pensioni, la spesa pubblica è già abbondantemente sotto la media europea. Sulle tasse il discorso è diverso… In che senso? Sul fronte della riduzione fiscale ritengo giusto fare passi più coraggiosi, soprattutto per quanto riguarda piccola e media impresa, partite Iva, piccoli professionisti. In una prima fase questo programma non può che essere finanziato che attraverso una spesa in deficit.
(Pietro Vernizzi)