Matteo Renzi si trova di fronte a una sorta di ingorgo tra referendum, Italicum, migranti e legge di stabilità. Nel giro di poche settimane è passato dall’annuncio a Ventotene di far parte del direttorio Ue post Brexit alla denuncia dell’isolamento dell’Italia al Consiglio europeo di Bratislava. In seno all’Unione europea sembra un aviatore che mentre perde quota minaccia bombardamenti. Le proteste di Renzi infatti non hanno spaventato nessuno. Al suo “Faremo da soli”, la Merkel, Hollande e Juncker hanno risposto con un “Anche noi” e l’emarginazione italiana è stata ulteriormente accentuata dal vertice economico a Berlino con la partecipazione dei principali industriali italiani.
Giorgio Napolitano continua a intervenire su Renzi per evitare di schiantarsi: prima gli ha detto di spersonalizzare il referendum, poi gli ha consigliato di non irrigidirsi sull’Italicum e quindi, nei giorni scorsi sul Corriere della Sera, lo ha avvertito che il “fare da soli” in Europa non è percorribile. Il messaggio di Napolitano è sempre lo stesso: non farsi isolare, ma costruire una rete di alleanze. E anche Mattarella in questi giorni coglie l’occasione del ricordo di Moro e Pertini per esortare il premier a larghe intese.
Quel che colpisce nel passaggio da Ventotene a Bratislava è la tardività della reazione di Renzi. Già dopo il vertice sulla Garibaldi vi era stata la protesta del gruppo di Visegrad (che annovera oltre a Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca anche la Slovacchia che stava organizzando la riunione del Consiglio europeo). Nessuno in Italia — tra Palazzo Chigi e la Farnesina (per non parlare del famoso “numero due” della Commissione di Bruxelles, Federica Mogherini) ha avvertito che cosa bolliva in pentola per l’imminente vertice. Nessuno ha preso in considerazione come la Cancelliera avesse immediatamente — dopo Ventotene e Maranello — contattato i leader dei paesi ex comunisti per smentire la nascita di un vertice comprendente Renzi. Eppure bastava una rassegna stampa dei quotidiani delle altre capitali per “svegliarsi”.
Renzi a Bratislava si è “svegliato” non quando poteva reagire con diritto di veto alla presentazione del documento sull’immigrazione che parlava di Turchia e non dell’Africa. Ha firmato il comunicato finale e solo quando gli hanno detto che Hollande e Merkel tenevano la conferenza stampa ha aperto gli occhi.
Anche nella reazione “Faremo da soli” Renzi sembra sottovalutare e, comunque, non mettere a fuoco il messaggio che Merkel e Hollande hanno lanciato tacitando Visegrad. Non si tratta della visibilità mediatica di Renzi, ma di qualcosa di ben più grave. In sostanza quel che sembra prevalere — non solo in Francia e Germania, ma da Varsavia a Madrid e, per quel che conta, a Londra — è la convinzione che per reagire al crescere dei movimenti antieuropeisti bisogna adottare una “linea dura” sull’immigrazione e noi italiani siamo chiamati a farne le spese. Ormai se un leader europeo si fa fotografare sorridente insieme a Renzi teme di trasmettere in patria l’impressione di accettare una “quota” di immigrati.
La Merkel ha fatto marcia indietro rimangiandosi il “Ce la faremo” e ha sposato l’idea di mettere platealmente in scena nel vertice slovacco un umiliante isolamento dell’Italia sul tema dell’immigrazione. Isolare e schiaffeggiare l’Italia sembra essere per gli altri leader europei il modo migliore per contenere i rispettivi movimenti xenofobi.
Comunque anche quando Matteo Renzi sembra in caduta libera è sempre appeso a una corda elastica che gli evita l’impatto fatale. E la “corda elastica” è l’impraticabilità di alternative al suo governo dato lo stato di crisi delle opposizioni che ha sulla destra e sulla sinistra: due conglomerati a leadership carismatica che fanno capo, entrambi, a due aziende familiari in difficoltà.
Da Roma il M5S evidenzia due dati. La vicenda delle Olimpiadi mostra che il M5s di fronte al pericolo di un “fare sporco” non è capace di garantire un “fare pulito”, ma la sua alternativa è il “non fare”. In più a decidere e a selezionare gli amministratori nella capitale (con buona pace dello streaming, della trasparenza, della democrazia assembleare) non è il sindaco eletto, ma la Casaleggio Associati, un’azienda ereditata da chi non ha le capacità del fondatore, che è in difficoltà finanziarie e che ha grande bisogno di soldi.
Sulla destra Matteo Renzi ha un Berlusconi che da anni continua a cambiare nome e vertice del suo partito e ora pratica lo stop and go su Parisi. Non a caso per il lancio della campagna referendaria Matteo Renzi ha scelto il faccia a faccia con Marco Travaglio in cui evidenzia come campione del No la sinistra più “forcaiola”. Un’iniziativa che — perdurando il disordine in FI e tra FI e gli alleati — ripropone, con possibilità di successo, la penetrazione nell’elettorato di centro destra come già accadde nel 2014.