La reazione netta di Beppe Grillo che divide gli italiani in due categorie, al di là dello stile, è il punto di arrivo di una serie di colpevoli equivoci che in molti hanno contribuito ad alimentare. Quando Grillo osserva che gli elettori hanno scelto di non votare l’unico movimento che ha restituito i soldi dei finanziamenti pubblici non fa che rilanciare un’analisi che da tempo circola nel dibattito politico senza vedere sollevarsi critiche altrettanto visibili (salvo per pochi e lodevoli esempi).
Quest’analisi, che Grillo e non solo lui sottoscrive in pieno, fa risalire la crisi del sistema Italia alla corruzione dei governanti: è il prosperare del malaffare all’interno dei partiti, con la colpevole indifferenza quando non addirittura la complicità di chi dovrebbe sorvegliare, ad essere alla base del disastro attuale. Il fatto che il Movimento 5 Stelle chieda il consenso in virtù della sua indiscutibile onestà prima ancora che dei programmi, è la diretta conseguenza di questo assioma.
Gli stessi programmi non possono essere che secondari una volta che il problema è essenzialmente di principi: se non si ruba e si è quindi onesti, tutto si risolve o comunque tutto migliora in modo significativo (il resto lo si può ottenere con una revisione degli accordi europei). In Grillo una tale analisi raggiunge i toni più elevati: non riconoscere una simile evidenza è per questi la prova di una complicità manifesta. Da qui il discorso sulle due Italie: una di assistiti, impiegati dello Stato, portaborse, e l’altra di quanti invece vivono senza protezioni di sorta e sono, al contrario dei primi, esposti al licenziamento, alla chiusura della propria azienda, al fallimento. La prima è legata alla seconda e, evidentemente, mantenuta da quest’ultima.
Una tale analisi ha trovato facile materiale incendiario nelle informazioni sulla cosiddetta “casta” e gli sconcertanti (e vertiginosi) compensi dei quali gode una coorte sconfinata di politici, amministratori, funzionari. Se da decenni i partiti erano in perdita di credibilità, tali analisi ne hanno provocato il collasso e il conseguente passaggio di poteri alla magistratura, vista come unica soluzione al malcostume dilagante. Ma da qui anche il rifiuto della politica, l’attacco ai parlamentari che debbono uscire per la porta di servizio e infine, il record del non voto. Un record che si era già manifestato alle regionali in Sicilia di qualche mese fa, ma che non è stato osservato più di tanto (anzi è stato squalificato in quanto irresponsabilmente attribuito ad una scelta della mafia) poiché premiava comunque la protesta anti-partiti rappresentata dal M5S.
Quest’analisi semplificante della realtà, come tutte le semplificazioni, non può non sfociare in una logica dicotomica, già emersa nelle ideologie più tetre degli anni ideologici appena trascorsi. Prevale un clima da forca, dove riemergono i miti popolari di un mondo a due velocità, dove i privilegiati risiedono tutti da una parte, mentre dall’altra albergano quanti sono chiamati a pagare il conto. Una tale dicotomia, per l’implicita violenza che porta in sé, non può partorire che i peggiori mostri e le più sinistre manette. Se è vero che dobbiamo a Beppe Grillo il merito di avere assorbito la protesta dell’antipolitica dentro un movimento non violento, occorre pur dire che la dimensione del rancore accumulata è tale che questo stesso movimento è pronto a sciogliersi nel non voto non appena i suoi elettori non vedono – né potrebbero vedere – soluzioni a portata di mano.
In realtà la crisi del sistema Italia ha radici robuste, ben piantate in una crisi della politica come progetto, alla quale si è sostituita una ricerca del consenso acquisito a colpi di quote di benessere sociale, dove il bene comune da spartire non era mai una coperta stretta, ma un tappeto elastico costantemente estendibile tramite le politiche monetarie e l’accumulo del debito pubblico. Chi provava a rinunciare ad un simile sistema di acquisizione del consenso era condannato alla sconfitta elettorale ed all’irrilevanza politica. La fine di questo sistema, sancita dall’impossibilità di poter varare leggi senza l’opportuna copertura finanziaria, ha gettato nella polvere quote consistenti di popolazione con una velocità pari a quella registrata negli anni ottanta dalle irresponsabili ope legis e dalle conseguenti assunzioni di massa: vero e proprio ariete di una serie di privilegi a cascata dei quali molti avrebbero beneficiato. Non ci sono capri espiatori, ma è un intero sistema che si è consegnato, mani legate, alla ricerca del consenso a tutti i costi e su questo è stato premiato, per decenni.
Occorre allora proteggere oggi le fasce sociali più deboli da questo brusco richiamo alla realtà e la vera emergenza è proprio quella di tutelare quanti sono senza lavoro e le aziende che stanno chiudendo. Se dobbiamo tutti scendere di uno (o due o tre) gradini, occorre fare attenzione a chi è già in fondo alla scala. Ma per fare questo occorre uscire dalla campagne di fango e dalla dicotomia delle due Italie. Si tratta di recuperare il meglio della nostra storia, non di spargere letame.