Mentre la classe politica scherza con il fuoco della protesta e sembra ignorare gli avvertimenti dell’Europol sul rischio di violenze di stampo terroristico in Spagna, Grecia e Italia connesse alla crisi economia e al sempre crescente tasso di disoccupazione, converrà prepararsi per tempo e conoscere quali potrebbero essere i nuovi padroni di una larga fetta di Occidente.
Con il beneplacito degli Usa, costretti a fare buon viso a cattivo gioco dal devastante deficit che sta trasformando il paese in un’immensa Argentina, la Cina sta infatti cominciando a guardarsi intorno e dopo la conquista dei porti greci lavora ad altri grossi colpi commerciali. Dieci sono gli attori in gioco.
Il primo è la Industrial e Commercial Bank of China, già artefice di un’espansione all’estero per 21 miliardi di dollari e attore principale della penetrazione del Dragone in Africa, dove ad esempio ha conquistato una larga partecipazione di Standard Bank of South Africa valutata in cinque miliardi di dollari. Ma non solo. Ha acquisito il ramo di Hong Kong di Fortis Bank e ora punta diritto su Indonesia, Dubai e Sidney: l’Europa, per ora, è un progetto in gestazione ma la svendita stile supermarket di molti assets fruttuosi che le esplosioni del debito pubblico porrà in essere potrebbe accelerare i piani.
C’è poi la China Development Bank, la banca del governo cinese. Emettitore privilegiato di bond, la Cdb è anche finanziatrice di grandi eventi come le ultime Olimpiadi e l’Expo di Shanghai. Detentrice di una quota pari a 1,3 miliardi di dollari in Barclays, questo soggetto si muove soltanto dopo aver ottenuto l’approvazione dei massimi vertici politici del paese: è, nei fatti, lo strumento geopolitico e geofinanziario di Pechino.
Citic Securities ha mire più aggressive e dopo essere sbarcata a Wall Street per comprarsi il 10% della disastrata Bear Stearns sta consolidato il suo ruolo di top brokerage in campo di assets. Quotata alla Borsa di Shanghai, Citic non fa mistero del suo attivismo in campo internazionale e la sua presenza molto attiva nel mercato Usa sembra preludere a un possibile interesse sul finora inesplorato panorama europeo.
China Mobile, da sola, può contare su 376 milioni di utenti nella sola Cina, più dell’intera popolazione degli Stati Uniti: ora, dopo un rimpasto interno del management, sta puntando diretta sull’espansione overseas anche se fino ad oggi l’unica acquisizione – peraltro decisamente strategica, anche se non a livello commerciale – è stata quella dell’operatore pakistano di telefonia Paktel.
Il suo presidente, Wang Jianzhou, è stato educato nelle migliori scuole di business administration di Hong Kong e ragiona come uno spregiudicato uomo d’affari statunitense più che come il ligio esecutori d’ordini della compagnia telefonica di regime: attenzione, quindi, perché potrebbe essere proprio questo soggetto a far partire le danze.
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Sinosteel Group il gigante dell’acciaio, capace di lanciare un’opa ostile sul gruppo australiano Midwest Corp da 1 miliardo di dollari e decisamente all’avanguardia nello sfruttamento delle oscillazioni dei prezzi delle commodities ferrose. Importatore e aziende di diretto controllo statale, Sinosteel è già attiva in Africa con un progetto di sfruttamento del cromo e in India nel mercato core dell’acciaio, oltre ad aver firmato un memorandum d’intesa con la canadese Ditem Corporation per quanto riguardo l’uranio e la sua estrazione in Australia. Un player a tutto tondo attivo in uno dei mercati più fruttuosi e delicato, insomma. Tipica emanazione del governo cinese e della sua opacità, Sinosteel – attraverso il suo sito Internet – lo scorso anno ha presentato un aumento dei profitti di oltre l’80% non presentando però alcun riscontro o dato a conferma.
PetroChina è il gigante del petrolio, oggetto dell’interesse niente meno che di Warren Buffett prima che l’oracolo del capitalismo scaricasse le sue azioni poiché «disgustato» dall’attivismo dell’azienda in Sudan. La più grande delle tre aziende petrolifere cinesi, PetroChina lavora a livello integrato sia sul mercato del petrolio che del gas e le sue attività sono totali: dall’esplorazione fino alla raffinazione e distribuzione e può contare su riserve seconde soltanto a quelle di Exxon Mobil, una posizione dominante che le ha permesso il lusso di dire no alle avances di Shell che intendeva mettere sul mercato i suoi impianti offshore in Nigeria. Capace di capitalizzare 1 trilione di dollari, ora PetroChina ha avvisato il mercato riguardo la sua volontà di internazionalizzazione del business e delle attività: viste la crisi e le continue oscillazioni del prezzo del greggio, potrebbe essere davvero uno dei player del domani.
China Investment Corporation è il fondo d’investimento sovrano per antonomasia, creato con 200 miliardi di dollari pompati direttamente del governo cinese. Gestito da burocrati della Banca Centrale e uomini di punta del governo, il fondo non solo gestisce tutto ciò che stia sotto il cielo cinese ma ha investito all’estero nientemeno che in Morgan Stanley, di cui ha comprato il 10% per cinque miliardi di dollari, e anche nell’azienda di private equity americana Blackstone, operazioni che la crisi dei subprime ha reso meno fruttuose di quanto si aspettassero a Pechino e che quindi ora impongono nuove mosse per rifarsi di perdite e mancati introiti.
Lo scorso anno, in un roadshow a Londra per presentare il fondo, il numero uno Lou Jiwei ha detto chiaramente che il core business, ora, è quello dello shopping di prodotti finanziari e assets in Europa, al fine di creare un plusvalore per il rendimento delle riserve monetarie statali. Insomma, un fondo sovrano che si muove come un vulture fund.
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C’è poi Lenovo, azienda informatica che ha comprato la divisione personal computer di Ibm e ha sancito lo sbarco della Cina nel mercato più iconico degli Stati Uniti. Controllato a maggioranza anch’essa dal governo cinese, Lenovo sembra voler proseguire la sua crescita come profilo di player globale soprattutto per quanto riguarda ricerca e sviluppo: alcuni analisti americani hanno messo l’azienda nel mirino per ragioni di sicurezza, poiché viene vista come un potenziale cavallo di Troia in ambito di intromissione della Cina nei contesti politici, economici e militari dell’Occidente. Non a caso il carismatico fondatore dell’azienda, Liu Chuanzhi, era un prodotto naturale del famigerato Istituto per l’ingegneria delle telecomunicazioni militari del Partito Comunista.
Ultimo player è la China State Grid Corporation, monopolista dell’energia capace di spodestare il potentissimo consorzio San Miguel nelle Filippine. Con oltre 1,3 miliardi di utenti serviti nel paese, Csgc ora punta all’export anche in altri mercati e molti analisti a Londra comincia a temere il suo attivismo e soprattutto la sua disponibilità praticamente illimitata di riserve per investimenti strategici. Non c’è la certezza, ma tra questi soggetti potrebbero esserci i futuri padroni di parte d’Europa: meglio conoscerli in anticipo.