Arriva un notizia che, in teoria, dovrebbe cambiare la politica europea a trazione tedesca, cioè la scelta dell’austerità. Angela Merkel, la cancelliera tedesca, ritiene possibile un utilizzo “flessibile” del patto europeo di stabilità, che però deve essere rispettato. Per l’esattezza la dichiarazione l’ha fatta il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, nella consueta conferenza stampa a Berlino: “La credibilità deriva dalle regole che ci si è dati”. Sembra un’apertura inconsueta per il Cancelliere tedesco, “custode” spesso intransigente dei conti da rispettare e dei “compiti da fare, per gli altri. Ma continuiamo a leggere quello che riporta, secondo le agenzie, il portavoce della Merkel. Nelle regole sul deficit si possono considerare i cicli economici negativi (il che pare veramente una scoperta dell’acqua calda, anche alla luce dei trattati un tempo sottoscritti). Quindi, ammette il portavoce, “un prolungamento delle scadenze di rientro è possibile ed è già stato usato”. Infine, c’è pure una clausola interessante cui fa accenno il portavoce del cancelliere tedesco: una “clausola sugli investimenti per le riforme strutturali” da verificare nei singoli casi nel rispetto degli accordi. Alberto Bagnai è professore di Politica economica all’Università D’Annunzio di Pescara ed è probabilmente uno dei pochi economisti che ha letto i Tratti europei dalla prima all’ultima riga e ha pure ascoltato attentamente i giuristi su come sono stati applicati questi Trattati. Forse anche in base a queste “letture”, il professor Bagnai non è proprio tenero né con l’Europa né, tanto meno, con l’euro.
Scusi, professor Bagnai, non le pare che questa dichiarazione sia un parziale ripensamento della politica tedesca in Europa? Che cosa nasconde? Difficoltà politiche? Scrupolo e attenzione per la nomina a Presidente di Jean-Claude Juncker, in modo che sia accettata più largamente del possibile?
Non c’è dubbio che la sua domanda tocca un punto sensibile. La prima osservazione che si può fare è che l’affermazione nelle elezioni europee dei movimenti critici induce la Merkel e i tedeschi a offrire la parte buona del volto. Qui dobbiamo necessariamente ritornare all’analisi del voto del 25 maggio che riguarda la Francia. Il successo di Marine Le Pen non è un fatto che si possa dimenticare, trascurare o prendere sottogamba, diluendolo nel Parlamento europeo. In quel risultato francese, non c’è solo una parte dei cittadini che contesta l’euro, c’è una maggioranza relativa che è fatta di ceti operai e produttivi, che sembrano intenzionati a continuare in questa protesta. Il minimo che possa fare il Cancelliere tedesco è quello di prendere atto di questa realtà.
Lei pensa quindi che le dichiarazioni di Angela Merkel si rivolgano soprattutto alla Francia?
Credo proprio di sì. Di fatto, con il risultato francese è stato messo in discussione l’architrave, l’asse portante della politica europea. Sinora la parte trainante della politica europea si basava appunto, ma direi anche storicamente, sull’asse franco-tedesco. Se questa base si incrina, e sostanzialmente si è incrinata, con il risultato elettorale di Parigi, in quale maniera si può andare avanti con questa Unione europea?
Lei parla di un’attenzione della Merkel soprattutto verso la Francia, ma tutto questo non riguarda anche l’Italia?
Ma per quale ragione Angela Merkel dovrebbe preoccuparsi dell’Italia e delle richieste italiane, dopo tutti questi anni in cui abbiamo trattato come se fossimo in ginocchio? I movimenti critici verso l’euro in Italia si sono attestati intorno al 10% circa. Ma il problema non è nemmeno questo. Il vero problema è che noi, con il governo di Enrico Letta prima e poi con la conferma del governo di Matteo Renzi (penso che lo sappia), abbiamo messo nella Costituzione, articolo 81, il rispetto del pareggio di bilancio. E allora che preoccupazione dovrebbe avere la Merkel di fronte a un simile principio sancito dalla nostra Costituzione? Alla fine questa dichiarazione della Merkel fa diventare la vittoria di Renzi alle europee una sorta di “vittoria di Pirro”. Per sforare il 3%, perché poi è di questo che si tratta, che cosa facciamo, violiamo la Costituzione? A meno che non si dica che fissare nella Costituzione il pareggio di bilancio sia stata una specie di finta.
In questo contesto sembra quasi di aver fatto un autogol.
Abbiamo voluto, tanto per cambiare, essere più realisti del re, abbiamo sempre trattato in modo subalterno e a questo punto non so proprio quali margini di manovra possiamo avere, anche con il semestre europeo “italiano” davanti a noi.
(Gianluigi Da Rold)