Per Mario Monti, l’ultimo appuntamento a Bruxelles al Consiglio europeo (14-15 marzo) non ha corrisposto alle sue aspettative. Come aveva fatto intendere nella conferenza stampa del 14 marzo, il Professore sperava di tornare in Patria con in borsa l’autorizzazione a una “mini golden rule” sulle linee anticipate da Giuliano Amato nel consueto editoriale domenicale de Il Sole 24 Ore: escludere, ai fini del computo dei parametri del Fiscal Compact, gli investimenti pubblici nazionali cofinanziati con fondi europei (fondi strutturali, fondi di coesione, al limite finanziamenti della Banca europea per gli investimenti). E , invece, è tornato con un pugno di mosche.
In aggiunta, il pomeriggio del 15 marzo, il Fondo monetario internazionale diramava un rapporto di 60 pagine in cui si chiedeva “maggior rigore” agli Stati dell’eurozona in difficoltà. Come se ciò non bastasse, il 16 marzo il giovane, e agguerrito, Presidente dalla Bundesbank, Jens Weidman (voce autorevole al Consiglio della Banca centrale europea e azionista di maggioranza del Meccanismo europeo di stabilità) “metteva in guardia” (traduzione letterale dal tedesco) l’Italia da tentativi di uscire dai binari tracciati a Bruxelles e Francoforte.
Monti probamente non era al corrente che, mentre volava verso la capitale del Belgio e dell’Europa, nell’affollatissima sala azzurra del ministero dell’Economia e delle Finanze, un giovane economista della Commissione europea, Alexandr Hobza, illustrava agli invitati un documento in cui a suon di econometria si mostrava che i conti con l’estero dell’Italia con i paesi nordici dell’eurozona e con il resto del mondo sarebbero rimasti in profondo rosso (nonostante una “fiscal devaluation” del 30% che ha già comportato una forte compressione salariale) pure nell’ipotesi, caldeggiata dal Pd, di una politica espansionistica in Germania (e negli altri paesi che la contornano) con aumenti dei salari e dei consumi interni.
Il risultato non poteva essere peggiore per il presidente del Consiglio in carica. La speranza di tornare a Bruxelles al posto oggi coperto da Herman van Rompuy che scade tra due anni (Presidente del Consiglio europeo – carica che si è rivelata per lo più onorifica) è svanita perché il resto dei componenti del vertice dell’Unione europea (Ue) hanno chiaramente detto che non erano pronti ad ascoltare la sua proposta, non perché in carica per gli adempimenti ordinari, ma in quanto perdente alle elezioni e, soprattutto, candidato a tutto (“anche alla Sovrintendenza della Scala?”, avrebbe chiesto con ironia un componente della delegazione francese). Una vera e propria “fin de partie”.
Non esiste, però, una norma informale di transazione secondo cui ciò che vale per Mario Monti è un danno anche per l’Italia. A Bruxelles, si è ben consapevoli che al fine di evitare che in Italia la recessione si avviti e divenga depressione è necessario rilanciare l’investimento pubblico (passato dal 3,5% del Pil nel 2007 a meno del 2% nel 2012) e che ciò comporta qualche forma di “golden rule” per esentare dalla contabilizzazione le spese in conto capitale finanziate dall’Ue. Tuttavia, i nostri partner necessitano di un interlocutore autorevole e con una solida maggioranza parlamentare. E di un programma organico che comporti la contabilizzazione nel debito pubblico dei debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese e misure serie per smaltirli (ossia per pagare i creditori).
Non credono, però, che l’attuale leader del Pd possa essere questo interlocutore, non solo perché ha sostanzialmente perso le elezioni, ma anche per altre due determinanti: a) sostiene un ritorno in politica di Prodi il quale (condannato nel 2008 dalla Corte di Giustizia europea per complesse vicende interne alla Commissione da lui presieduta) non ha lasciato un buon ricordo a Bruxelles ; b) il programma di sviluppo dell’occupazione predisposto dalla Pd e dalla Cgil prevede un esborso di 40 miliardi di euro l’anno, tale da far saltare i conti pubblici italiani e di fare estendere il perimetro del settore pubblico (mentre in Europa si tenta di fargli fare marcia indietro).
Il resto del Consiglio europeo (e la Commissione) presteranno molta attenzione a un interlocutore autorevole, supportato da una maggioranza solida, con un programma che affianchi “mini golden rule” e saldo progressivo dei debiti delle amministrazioni verso le imprese. È un percorso tutto in salita. Una scalata. Ma possibile.