L’energia elettrica da fonte nucleare è una scelta politica e strategica. Il decreto in materia di impianti nucleari esaminato dal Governo è un elemento fondamentale e di grande rilevanza. Il documento legislativo andrà ora al vaglio delle commissioni parlamentari competenti prima di tornare al Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva.
Prima della sosta estiva, dopo circa un anno di dibattito, il Parlamento aveva fatto il primo significativo passo con la delega al Governo tramite la Legge 99/09 approvata alla fine di luglio e pubblicata in Gazzetta ad agosto; così recitava infatti l’articolo 25: “Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto delle norme in tema di valutazione di impatto ambientale e di pubblicità delle relative procedure, uno o più decreti legislativi di riassetto normativo (…)”. Molti i nodi da sciogliere: individuazione dei siti, smaltimento dei rifiuti, oneri sul sistema elettrico, scelta delle tecnologie, creazione di opportunità per l’industria e la ricerca nazionale. Sembrava un approccio irrisolvibile.
Eppure, con un’anticipazione inattesa (lo si aspettava per febbraio) ecco comparire il decreto. Ad una prima lettura ne emerge una disposizione ampia (cinque titoli per un totale di oltre 30 articoli), esaustiva in molti argomenti chiave, sufficientemente chiara e snella. La rotta appare ben delineata nei soggetti chiamati a proseguire il percorso. Le soluzioni organizzative e gli strumenti individuati nel decreto attingono da quanto di buono esiste negli impianti normativi esteri ed appaiono innovativi e moderni. Qualche neo però esiste, soprattutto con le riformulazioni delle ultime ore e con il vezzo tutto nostrano di inserimenti interessati a forme di assistenzialismo per qualche Ente tecnico di troppo.
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In sintesi, il decreto emanato dal governo prevede:
La disciplina della localizzazione sul territorio nazionale degli impianti, delle responsabilità in materia di stoccaggio dei rifiuti radioattivi, della disattivazione degli impianti;
I requisiti soggettivi degli operatori per lo svolgimento delle attività di costruzione, di esercizio e di disattivazione;
L’istituzione del Fondo di smaltimento di rifiuti e disattivazione degli impianti;
Le misure compensative da corrispondere ai residenti e alle imprese del territorio che ospita gli impianti;
La creazione del “Parco tecnologico” che conterrà il Deposito nazionale definitivo dei rifiuti;
Infine, il programma per la realizzazione di una campagna di informazione nazionale.
Disponiamo pertanto da oggi dello strumento normativo e quindi delle regole per avviare i progetti industriali. Ma prima si riaprirà inevitabilmente anche un acceso confronto tra pro e contro il nucleare, dagli esiti incerti e probabilmente con non pochi contraccolpi. La discussione politica sull’opportunità di insediare impianti nucleari in Italia cominciò oltre 50 anni fa; dopo qualche anno, il 31 dicembre del 1962, fu approvata la legge concernente “l’impiego pacifico dell’energia nucleare”. Nel 1975 fu poi approvata la legge 393 con le “norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione e sull’impiego di energia elettrica”. Fummo tra i primi e più qualificati al mondo nel realizzare centrali di questo tipo. Nel 1987, a seguito dell’incidente di Cernobyl e dopo i risultati di un ben noto referendum popolare, si scelse politicamente di non proseguire oltre, fino a far dismettere le quattro centrali attive in Italia. Siamo stati l’unico paese al mondo ad uscire completamente dal nucleare: molti altri, nello stesso periodo, hanno smesso di realizzare nuovi impianti, ma nessuno ha mai fermato quelli già funzionanti. Solo due anni fa, dopo 20 anni di assenza di dibattito e di nuovi investimenti, si tornò a parlarne, anche in Italia: il governo insediatosi nel mese di marzo, contemporaneamente ad altri Stati europei quali la Finlandia ed il Regno Unito, ne ha subito fatto uno dei temi di rilancio dell’economia del paese.
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Il nucleare infatti è l’unica fonte di grandi dimensioni (oltre 1000 MW per ogni impianto) che non emette CO2 e che consente di produrre energia a costi decisamente competitivi. La nuova tecnologia di terza generazione avanzata ha inoltre raggiunto parametri di sicurezza e funzionalità di elevati livelli. La necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili (dalla ingestibile volatilità di prezzo) e di garantire l’affidabilità dell’approvvigionamento energetico internazionale hanno ulteriormente fatto ritornare di attualità la fonte nucleare.
Il Governo ed il Parlamento italiano hanno quindi avuto la determinazione e la capacità di intraprendere consapevolmente il tragitto, realizzando in poco tempo un buon quadro legislativo, attuale e funzionale: sono infatti interessanti gli strumenti organizzativi e di confronto (ad esempio il “seminario nazionale” o il “Comitato di confronto”) o l’attenzione ad evitare costi allo Stato: non ci sono infatti spese a carico del contribuente rimandando agli operatori ogni onere di sistema. Sono sicuramente attraenti le compensazioni sociali ed economiche (anch’esse a carico totale degli operatori). Verrà poi costituito il Fondo di dotazione per la sicurezza, lo smaltimento dei rifiuti, lo smantellamento degli impianti. Sono significative le somme che andranno agli Enti locali: nella fase realizzativa gli operatori riconosceranno un cifra fino a 5 milioni di euro l’anno, mentre nella fase di esercizio (60 anni) saranno tra i 2 ed i 3 milioni anno. Gli argomenti sono veramente molti, sarà necessario tornarci.
Non saranno pochi coloro che a gran voce diranno di non volere il nucleare, ma non si potrà addurre che non ci siano le condizioni legislative per realizzarlo. Nel contempo chi vuole favorire il ritorno all’atomo deve attendere per gridare vittoria. È una strada molto lunga, dove tre sono le condizioni ineludibili e su cui non ci si può distrarre: il coordinamento, continuo, propositivo e sussidiario tra i numerosi soggetti coinvolti (Dai ministeri alle Regioni, dagli organi tecnici agli operatori); la rapida e qualificata diffusione delle competenze e delle conoscenze e, assolutamente non ultima, una trasparente, non ideologica e paziente comunicazione.