Il colpo di scena è arrivato in queste settimane, attraverso vari articoli di giornali. E ancora ieri mattina, un editorialista “principe” de Il Corriere della Sera teneva una lezione d’alta classe sul duale, con una conclusione però un po’ contraddittoria sugli interventi delle banche per “interesse nazionale”, da cui il giornale di via Solferino non è immune, pur essendo partecipato da Mediobanca. Ma è solo un dettaglio finale, di una questione importante cominciata da qualche tempo.
L’applicazione di questo schema societario si è rivelato piuttosto complicato, anche se corrispondeva a una vecchia esigenza: quella di assicurare una certa indipendenza e rapidità di manovra del management. Come tutti gli schemi, compreso il duale, difficilmente si adattano alla realtà, soprattutto a quella italiana e a quella particolare di Mediobanca.
Nella storia della merchant bank, il management agiva come se già fosse in perfetta sintonia con un virtuale schema duale. Chi metteva in discussione le scelte e le capacità di Enrico Cuccia e di Vincenzo Maranghi? A ben vedere, per uno strano paradosso, è proprio nell’estate del 2002, quando Maranghi fa l’operazione “Ferrari”, che scatta la reazione di uno degli attuali difensori del duale in piazzetta Cuccia, Alessandro Profumo, che critica aspramente l’allora amministratore delegato di Mediobanca e innesca una manovra che porterà, dopo un significativo passaggio in Generali, all’uscita di Maranghi da piazzetta Cuccia nella primavera del 2003.
Difficile ricostruire tutti i possibili retroscena di una “marcia indietro” che viene pensata all’interno dell’azionariato di Mediobanca, soprattutto dall’attuale asse di maggioranza, rappresentato da Geronzi, dai soci del Gruppo C (gli investitori esteri) e dalla maggioranza dei soci industriali. C’è in realtà un nuovo contesto politico, dopo le elezioni di primavera e del centrodestra, accompagnato da un’impopolarità crescente nei confronti del sistema bancario, soprattutto verso coloro che inquadrano la banca innanzitutto come impresa, dove si devono massimizzare i profitti e non pensare alle strategie di sistema. Forse è in questo contesto (anche politico, inutile fare gli schizzinosi) che matura “il ritorno al passato” di Mediobanca. Si cerca di farlo in modo indolore, perché si sa che il management della merchant bank sarebbe sensibile a un ridimensionamento del suo potere e anche perché in altre sedi si pensa sempre a difendere uno schema anglosassone, di stretta osservanza liberista.
Non è possibile non vedere un passo significativo in questo “ritorno al passato”. Non si può nemmeno dire, sbrigativamente, che sia un ritorno alla “politica”. Forse c’è solo il recupero di una visione strategica del banchiere e non l’attivismo di quelli che Cuccia e Maranghi chiamavano “grandissimi bancari”.