Nel caso Saipem-Cipro, al danno si aggiunge la beffa: l’Italia, secondo il ministro degli Esteri cipriota, Ioannis Kasoulides, sarebbe oggi “l’anello più debole” della complessa catena di interessi che si dipana attorno al business energetico cipriota. E che sarebbe stato, per questo, del tutto naturale che Saipem 12.000, la nave italiana che lavora per le perforazioni marittime dell’Eni, decidesse di andarsene dalle acque di Cipro e dirigersi in Marocco per non perdere altro tempo produttivo prezioso per il cliente in attesa di sviluppi diplomatici a oggi solo ipotetici.
In realtà il dietrofront è stata solo una sacrosanta scelta di prudenza e non denuncia nessuna debolezza. Cerchiamo invece di capire cosa sta succedendo attorno alla meravigliosa isola mediterranea e perché l’Eni ha fatto benissimo ad andarsene, per il momento, senza per questo essere affatto “l’anello debole” evocato da Kasoulides.
Dunque: il governo regolare di Nicosia controlla poco più della metà dell’isola, circa il 59%, ed è riconosciuto dall’Unione europea. Al Nord, invece, c’è un altro Stato, che si autodefinisce Repubblica Turca di Cipro del Nord, copre circa il 36% della superficie dell’isola, ed è riconosciuta dalla sola Turchia. Ci sono poi due piccole aree, Akrotiri e Dhekelia, che, al momento dell’indipendenza, vennero assegnate alla Gran Bretagna come basi militari sovrane.
La fascia Nord è di fatto un protettorato della Turchia di Erdogan. Il quale, con buona pace delle passerelle diplomatiche che replica con ritmo elevato in giro per il mondo – recentissima quella in Italia e in Vaticano – è un dittatore, che non è prudente ma appare oggettivo definire violento, e secondo molte interpretazioni addirittura sanguinario. Con un tipo così non si scherza.
Ebbene: i turco-ciprioti del Nord contestano che la Repubblica di Nicosia possa gestirsi nell’autonomia – che in realtà le spetta – le perforazioni petrolifere nelle sue acque. Questione di soldi, e di influenza politica. E, come fanno sempre i dittatori, Erdogan ha anteposto il fatto al diritto e ha mostrato i muscoli per boicottare l’attività di uno dei partner più importanti di Nicosia per il settore petrolifero, appunto l’Eni, che tra le molte società petrolifere ingaggiate dal governo cipriota per le esplorazioni è tra le più attive, con ben sei licenze esclusive. Quindi se in questa fase l’Eni è in impasse mentre Exxon Mobile e Total lavorano non è segno di debolezza, ma semmai dimostrazione di fastidiosa importanza.
Con la calma che lo contraddistingue, l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi ha già detto con chiarezza che non intendeva sfidare la dimostrazione di forza della Turchia, ma nemmeno rinunciare al business a Cipro, ricordando con un po’ di sano orgoglio che questo genere di crisi diplomatiche sono pane quotidiano nella storia dell’Eni.
Come spesso accade in politica internazionale, da questa faccenda risalta l’estrema ipocrisia dei governi dei Paesi più importanti, Italia compresa, che mentre in altri casi, quando hanno visto intaccare interessi di grande rilievo come quelli tedeschi sul gas, hanno reagito con sanzioni pesanti ancorché inutili – vedasi Russia – verso la Turchia hanno un atteggiamento ambiguo, fingendo di non vedere che siamo di fronte alle scorrerie di un personaggio che ha sospeso democrazia e diritti civili e in questo momento tiene in carcere decine di giornalisti e di rappresentanti delle Ong.
Va detto che sia Sergio Mattarella che Paolo Gentiloni nei recenti colloqui romani con Erdogan sono stati severi, pur nel rispetto istituzionale, quando hanno esposto i punti che l’Occidente considera sbagliati nella politica interna ed estera di Ankara: ma questi sono dettagli, ancorché dignitosi; la sostanza è che la Turchia, membro della Nato, è in realtà guidata da un governo antidemocratico, islamico, anti-atlantico, prepotente e sempre atteggiato aggressivamente verso il mondo. Una bruttissima situazione.
Tornando al petrolio, la linea di Ankara è chiara: il ministro turco dell’Energia Berak Albayrak ha dichiarato che la Turchia impedirà le perforazioni fin quando non avrà constatato una “riunificazione etnica” tra le due Cipro: scadenza e obiettivo di difficile, anzi forse impossibile, decifrazione. Quindi oggi è altrettanto difficile pronosticare se e quando Saipem 12.000 potrà tornare a fare il suo lavoro al largo di Cipro.