Come ormai da molti anni Il Sole 24 Ore e Italia Oggi, in prossimità del Natale, hanno pubblicato le proprie classifiche delle province italiane, basate su 36 indicatori il primo, 87 il secondo, con il fine di dare le pagelle di fine d’anno sulla qualità della vita degli italiani. E puntualmente, all’indomani della pubblicazione, i quotidiani e i telegiornali ospitano ampi resoconti e commenti di editorialisti, politici, economisti, sociologi, industriali.
Se possiamo ritenere che la diffusione dell’informazione statistica territoriale, quando questa è corretta, costituisca un merito per un giornale economico, non siamo altrettanto convinti che le elaborazioni su cui si basano le graduatorie e le analisi spesso acritiche e superficiali che seguono la pubblicazione offrano un servizio utile ai lettori esperti e non.
Invero, sfogliando i giornali di questi giorni, si può constatare che in molti hanno avanzato dubbi sulla scelta degli indicatori, sulla qualità dei dati e su possibili manipolazioni degli stessi per fini non meglio identificati. E che dire della confrontabilità di graduatorie generali che vedono cambiare ogni anno gli indicatori sui quali sono costruite (quest’anno ben 7 su un totale di 36 per Il Sole 24 Ore)? Le rimonte o le retrocessioni, talvolta anche dell’ordine di 40 posti, sono piuttosto il risultato del cambiamento degli indicatori che di un reale miglioramento dei livelli di vita delle popolazioni cui i dati si riferiscono. Invero chi è aduso allo studio di dati strutturali come quelli esaminati dai ricercatori di entrambe le testate sa bene che cambiamenti repentini e importanti sono poco probabili. I dati pubblicati esibiscono poca stabilità.
Le precedenti considerazioni, pur facendo salva la buona fede degli autori delle graduatorie devono far riflettere il lettore sull’attualità dell’idea di Disraeli secondo cui vi sono tre modi di mentire: le bugie, le menzogne e le statistiche.
Oggi le Società scientifiche di Statistica e gli Istituti Nazionali di Statistica si impongono codici deontologici per una corretta diffusione dell’informazione statistica. E non va dimenticato il ruolo
Che viene chiamata a svolgere l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Ma tutto ciò può non risultare sufficiente se i mass media non fanno la loro parte nell’educare i propri lettori a una valutazione critica e attenta dei dati stessi e delle metodologie che li hanno originati.
La nozione e gli indicatori di qualità della vita
In primo luogo quando si vuole misurare un concetto come la qualità della vita bisogna definire in modo puntuale l’oggetto della misurazione e ciò tanto più difficile quando si tratta di una nozione che ha una forte valenza soggettiva e molto variabile da individuo a individuo, per collettività diverse, e nondimeno nello spazio e nel tempo.
Lo United Nation Research Institut for Social Developments, organismo dell’Onu, nell’intento di comparare le condizioni di vita dei paesi membri ha definito la qualità della vita come l’espressione del grado di soddisfacimento di tre ordini di bisogni dei cittadini: fisici, culturali e superiori. Questi a loro volta sono rispettivamente articolati nelle seguenti aree tematiche: alimentazione, riparo e ambiente, salute e sanità; istruzione, tempo libero, sicurezza; infrastrutture, servizi, tenore di vita.
Nella difficoltà di condurre indagini dirette che riguardino le popolazioni, le imprese, le istituzioni che operano sul territorio di interesse spesso si preferisce, per motivi di costo e tempo, ricorrere a dati di fonte ufficiale o amministrativa riferiti a opportune unità territoriali (comuni, province regioni). Va sottolineato che per avere significatività il dato deve essere riferito a unità territoriali molto omogenee. Non ha senso pertanto riportare il dato delle province alle città, la percentuale di residenti nel capoluogo è invero molto variabile da provincia a provincia.
I dati pubblicati si riferiscono dunque dei livelli di vita delle province e non delle città come spesso viene titolato dagli stessi giornali che hanno proposto le graduatorie. C’è da dire che i dati provinciali vengono spesso influenzati da un hinterland molto eterogeneo rispetto alle città capoluogo, in tal senso ad esempio, vengono fortemente penalizzate città come Napoli, capitale economica e culturale del Mezzogiorno, che negli ultimi anni ha registrato notevoli cambiamenti positivi. Raccolta dei rifiuti a parte.
Per ciascuna delle aree tematiche menzionate va selezionato un congruo numero di indicatori che devono riflettere aspetti quantitativi (larghezza del flusso), qualitativi (profondità del flusso), e dinamici (variazione del flusso) dei beni e servizi disponibili. Gli indicatori devono inoltre essere esaustivi (per quanto possibile) non ridondanti, bilanciati e pertinenti rispetto alle dimensioni della qualità della vita, in modo cioè da non privilegiare nessun aspetto della fenomeno da indagare.
Molte delle componenti della qualità della vita richiamate in precedenza non sono affatto prese in considerazione dai ricercatori né da Il Sole 24 Ore ne da Italia Oggi (per esempio, l’alimentazione) altre sono sottodimensionate. Né tanto meno vi è attenzione ai criteri per la selezione degli indicatori in precedenza richiamati. Le liste degli indicatori dei due giornali pur essendo abbastanza ampia e articolate (Il Sole 24 Ore ne ha 36 sulle seguenti aree: tenore di vita, affari e lavoro, servizi e ambiente, criminalità, popolazione e tempo libero; mentre Italia Oggi considera 87 indicatori su affari e lavoro, ambiente, disagio sociale, popolazione, salute, servizi, sicurezza, tenore di vita) non si basano su una definizione condivisa della qualità della vita, ma piuttosto sembrano legate alla disponibilità dei dati, cosa che evidentemente sminuisce la rappresentatività degli stessi indicatori.
I dati acquistano significato statistico unicamente se relazionati e organizzati entro una precisa griglia concettuale. Molti degli indicatori utilizzati, non solo quelli del tenore di vita, ma anche quelli degli affari e lavoro, contravvenendo peraltro al principio della non ridondanza, rivelano aspetti del benessere economico delle popolazioni e non della qualità della vita, ponendosi così in contrasto con le più accreditate teorie sulla qualità della vita che si basano sull’analisi dei dati relativi alle unità fisiche piuttosto che sui valori monetari. E per queste considerazioni che le graduatorie dovrebbero più correttamente intendersi come espressione del benessere economico e sociale.
Gli indicatori elementari dovrebbero essere, per quanto possibile, espressione di cause o effetti strettamente connessi al fenomeno che si vuole analizzare (criterio della pertinenza) e nel loro insieme essere espressione di sfaccettature dello stesso. Le variazioni del tasso di natalità o il livello del tasso di mortalità generale non sono certamente riconducibili alla nozione di qualità della vita in quanto indicatori generici. Semmai andrebbero rilevati indicatori delle malattie cardiovascolari, delle malattie infettive e dell’apparato respiratorio più direttamente riconducibili a fattori della qualità della vita riconducibili allo stress e all’ambiente. Tra gli indicatori dei servizi ai cittadini andrebbero più utilmente considerati l’assistenza agli emarginati e agli anziani, gli asili nido. Quanto all’imprenditorialità l’aspetto dimensionale e settoriale delle imprese è del tutto trascurato.
Per fini di comparabilità territoriale gli indicatori si devono costruire come rapporti statistici che hanno al denominatore la causa del dato posto al numeratore. Ma ciò non è sempre avvenuto: si pensi ad esempio al caso dei furti nelle abitazioni che sono rapportati agli abitanti e non alle case occupate o dei processi civili che andrebbero rapportati al numero di cause discusse. L’uso di indicatori di dinamica va sempre accompagnato da dati espressione assoluta della entità del flusso cui si riferiscono, si rischia altrimenti di giudicare importanti variazioni riferite a basi di partenza molto basse questo è il caso ad esempio delle variazioni dei nati vivi e dei delitti denunciati.
Le metodologie per la costruzione delle graduatorie provinciali
I punti cruciali di tali metodologie riguardano i criteri di aggregazione degli indicatori, il peso degli indicatori e la sensibilità delle graduatorie alla scelta degli indicatori elementari e alla loro misura. Se gli indicatori considerati singolarmente e valutati con le cautele anzidette possono offrire spunti di riflessione parziali, molto perplessi lascia la metodologia di sintesi degli stessi adottate per costruire le classifiche di “tappa” e generale.
Essi procedono dapprima alla costruzione di punteggi ottenuti rapportando il dato assoluto provinciale a quello più grande o a quello più piccolo della serie secondo che l’indicatore sia ritenuto espressione positiva o negativa della qualità della vita. Questi punteggi espressi in una scala da 0 a 1000 (!) presentano l’inconveniente di essere eccessivamente sensibili ai valori anomali, finendo così per privilegiare (punire) la provincia corrispondente. La sintesi dei punteggi per la costruzione delle graduatorie avviene mediante una semplice media aritmetica delle graduatorie dei punteggi elementari.
Si tratta a ben vedere di un sistema che attribuisce a priori la stessa importanza alla ricerca del lavoro e alle variazioni della temperatura tra il mese più caldo e quello più freddo, alle palestre e alla mortalità per tumore. E gli esempi potrebbero continuare. Allo stesso tempo gli indicatori che al loro interno presentano un campo di variazione più piccolo per la maggior parte dei dati (spesso effetto di valori anomali) rispetto ad altri più differenziati sul territorio finiscono con avere un peso diverso nella sintesi. Va anche rilevato che le classifiche regionali sono calcolate come medie semplici di punteggi provinciali trascurando il peso delle diverse province.
La Statistica per la costruzione di indicatori sintetici offre metodologie di analisi multidimensionale dei dati, più obiettive e largamente sperimentate, come la tecnica delle componenti principali o i modelli cosiddetti con variabili strutturali che, a differenza dell’approccio impiegato da Il Sole 24 Ore e da Italia Oggi attribuiscono un peso ottimale ai diversi indicatori elementari coerente con l’importanza “statistica” che gli stessi hanno nella costruzione della misura della qualità della vita, e tengono altresì conto delle relazioni di dipendenza tra i diversi gruppi di indicatori, piuttosto che sommarli semplicemente.
Ove per la selezione di indicatori pertinenti non si faccia a priori ricorso ad appropriati indici come quello proposto da Cronbach, il vantaggio di questa tecnica risiede anche nel fatto che a posteriori consente di fare un bilancio degli indicatori prescelti per esprimere la qualità della vita evidenziando quelli che spesso finiscono con l’esprimere aspetti diversi da quelli per cui sono stati rilevati. E per contro scoprire come c’è stato modo di rilevare nelle classifiche degli anni precedenti che solo in parte gli indicatori rilevati erano reale espressione della qualità della vita nonostante fossero molto numerosi. Si è già detto dell’incongruenza dell’indice di percezione della qualità della vita, ma si assiste anche a una mortalità talvolta più elevata nelle province dove si vive meglio! Almeno sotto questo profilo Napoli va un pò meglio di Trento.
I metodi di costruzione delle graduatorie non tengono conto affatto delle analisi di sensitività che consentono di concludere se in due provincie la qualità della vita è realmente diversa o se dipende dalle scelte effettuate ed è pertanto dovuta più a cause soggettive (per esempio, il cambio degli indicatori da un anno all’altro) che condizioni strutturali.
Alternativamente, più che costruire un punteggio per ciascuna provincia, non sempre facile da leggere se la sintesi avviene a partire da variabili molto diverse, si può far ricorso alla tecnica dell’analisi dei gruppi (cluster analysis) che si prefigge di pervenire a classi di equivalenza all’interno delle quali vengono raggruppate province dalle caratteristiche molto simili e che al contempo siano differenziate da gruppi che presentano condizioni di vita alquanto differenti.
Fare riferimento a classi di province piuttosto che a singoli punteggi presenta, oltre al vantaggio di eliminare l’inconveniente di fluttuazioni occasionali e non strutturali dei dati, quello di una maggiore facilità di interpretazione dei risultati anche per non addetti ai lavori, essendo questa fatta in base agli indicatori elementari che per una certa classe presentano gli scostamenti più significativi dalla media nazionale. Più che a una difficile sintesi che esprima il livello di qualità della vita in una provincia nell’analisi dei gruppi si fa riferimento a tipologie diverse della qualità della vita.
Un confronto tra le due indagini
Per le ragioni anzidette, soprattutto per la diversa qualità e quantità degli indicatori un confronto non è possibile . Solo Napoli mette d’accordo tutti: è ultima in entrambe le classifiche. Non è nostro obbiettivo in questa sede propinare ai lettori un’ennesima graduatoria, cosa che spesso abbiamo fatto per le precedenti indagini utilizzando metodi più appropriati del tipo di quelli descritti ottenendo risultati più confortevoli per questa città restituendole il ruolo di capitale del Mezzogiorno con una risalita verso il centro classifica. Si dirà: magra consolazione. Ma un dubbio mi resta: forse con l’impiego di qualche indicatore un poco più favorevole, quale ad esempio il tasso di suicidi, le cose potrebbero cambiare anche in meglio. L’elevato numero di suicidi delle città del Nord rispetto a un numero prossimo a zero nel Sud porta ad una domanda impertinente: perché ci si dovrebbe suicidare se si vive in aree dove la qualità della vita è migliore?
Si tratta di un paradosso, ma questo la dice lunga sull’importanza e sul ruolo di una stampa avveduta nella elaborazione e nella comunicazione corretta dell’informazione statistica. Ci si chiede come mai l’Istat non offre una sua classifica delle province italiane ponendo fine a questo cine-panettone di qualità non eccelsa.