Buongiorno Italia, buongiorno italiani. Svimez ci ha detto quello che non possiamo non sapere. E adesso, cosa succede? Dopo aver letto il rapporto sul Sud, che ci evidenzia in modo preciso e puntuale la situazione, quello che non va, cosa succede?
Capita che periodicamente un istituto di ricerca, un’agenzia specializzata ci comunica che qualcosa non va. Titoli più o meno importanti sui giornali, tweet ri-tweettati, un po’ di Facebook, i rappresentanti di associazioni e delle istituzioni che propongono misure di contrasto immediato per invertire il trend, poi… si attende la prossima pubblicazione con comunicato stampa, tabelle e slide, e il conseguente nuovo risveglio, nuovi proclami e ricette immediate
Che il Sud Italia abbia dei problemi non dovrebbe essere una novità. La crisi occupazionale inizia prima del 2008, nel 2004, quindi prima della crisi economica finanziaria. Che le infrastrutture non funzionano pare evidente a chiunque debba “scendere” al Sud, sia per lavoro che per turismo. Dal punto di vista demografico, le famiglie, se possono, mandano i figli a studiare al Nord, e invece di prepararsi per il loro ritorno, appena possono li seguono, li raggiungono nelle città che li hanno accolti. Abbandonando le proprie terre e tradizioni. Nelle località turistiche le tante abitazioni, prime case o casa per le vacanze di ex residenti al Sud ormai vengono aperte e utilizzate per due settimane all’anno con conseguenze negative per il turismo.
Dopo anni di ipotesi, proposte, tentativi per affrontare la questione meridionale – tutti tentativi che hanno avuto in comune la de-responsabilizzazione delle persone che abitano in quei territori, in quei contesti, con promesse di soldi e di miracoli -, l’esito è l’anestesia, si è anestetizzato un popolo.
Cosa serve? Non serve chi dice ci penso io, ho io la soluzione. Hanno fallito tutti. Serve che chi ha la coscienza della responsabilità dica, io ci sono. Serve che chi alzandosi la mattina e guardando le bellezze che sono situate solo nel Sud Italia trovi qualcuno che partendo dal bello desideri ridare speranza a un popolo. Serve che chi guardando i propri figli, responsabilmente cerchi chi intende offrire, permettere di offrire delle possibilità. Serve chi non si aspetta che qualcun altro faccia al posto suo.
Serve che libertà e responsabilità siano incontrabili in facce, volti, persone. Serve che chi dice “io ci sono” si metta all’opera, in movimento. Solo in questo modo la ricerca Svimez sarà un supporto per la ripartenza di un popolo.