Ecco che anche Beppe Grillo, e i suoi consociati della cosiddetta Rete, propongono una parziale riforma della giustizia, di cui si sente da tempo la necessità in Italia. La lunghezza dei processi civili e penali è notoriamente insopportabile in quel bel Paese che non si trova poi tanto lontano dalla mia prigione, il castello di If, nel golfo di Marsiglia, dove giaccio su un pagliericcio (ormai da oltre duecento anni) confidando al mio amico Edmond Dantès luoghi dove ci si può arricchire con moneta sonante (dobloni e gemme preziosissime) e non con le cartolarizzazioni finanziarie di cui si parla anche qui. Del resto, Edmond può elencarvi dettagliatamente le malefatte del banchiere Jullian Danglars, non solo sul piano finanziario, ma anche su quello sentimentale. E’ stato Danglars a far imprigionare Dantès e a “rubargli” la fidanzata Mercédès de Morcerf.
Ma lasciamo queste tristezze sentimental-finanziarie, per tuffarci nei problemi della giustizia italiana.
Spiega il “garantista alla rovescia” Grillo, prima attraverso il programma di Bruno Vespa (nomen omen), poi attraverso dichiarazioni, che viaggiano alla velocità della luce, che si faranno processi popolari in Rete. Il fatto può sembrare piuttosto bizzarro e forse incomprensibile ai miei sventurati compagni del Castello di If. Ma Grillo è il nuovo “immaginifico” di un’Italia, appunto, piuttosto bizzarra. Che cosa ha detto il comico o l’ex comico? Ecco una breve sintesi. Si ispira anche lui a un castello, quello di Lerici, che si affaccia sul mio stesso mare.
Dice Grillo: “Il castello è un simbolo, ha le sue celle, le sue segrete. Un simbolo di quello che succederà se il Movimento 5 Stelle andrà al governo”. Grillo individua tre distruttori dell’Italia: i giornalisti, gli industriali di regime e i politici, infine, che secondo Grillo vengono un gradino più in basso delle meretrici.
E specifica: “Questo orrendo trio va giudicato attraverso un processo popolare, mediatico che inizierà dopo le elezioni europee. Sarà fatto in Rete dove verrà ricostruito un castello virtuale con le celle individuali, ognuna con la sua targhetta”.
Qualcuno avrebbe pensato che si discutesse finalmente di separazione delle carriere, di sveltimento delle procedure, di riorganizzazione funzionale di tutto l’apparato giudiziario. Ma invece, tra il serio e il faceto, Grillo ricorre a un particolare tribunale del popolo, quasi come una giuria popolare con in braccio Internet: chi non lo usa o non lo sa usare è escluso dalla giuria. Dice: “Ci saranno le liste, le prove e i testimoni di accusa come in ogni processo. Per ogni persona ci sarà un cittadino che articolerà i capi di accusa. Alla fine gli iscritti certificati al M5S potranno votare per la colpevolezza o l’innocenza”.
Indubbiamente uno sveltimento della procedura c’è, ma da mettere i brividi. E’ vero che la procedura italiana, anche quella penale, non solo quella civile, è piuttosto bizantina e anche un poco barocca. Ricordi giovanili (avevo solo 150 anni) del celebre avvocato Francesco Carnelutti, professore di procedura penale, mi riportano a sue dichiarazioni allarmanti: “Se vi svegliate una mattina e trovate su un giornale che vi accusano di avere rubato il Duomo di Milano, procedete in questo modo: prima andate in piazza Duomo e vi accertate dell’esistenza della cattedrale, poi prendete il primo treno per la Svizzera e là restate per qualche anno”. Beppe Grillo assicura indubbiamente più rapidità: “Il processo durerà il tempo necessario, almeno un anno, le liste saranno rese pubbliche quanto prima e l’ordine in cui saranno processati gli inquilini del castello sarà deciso in Rete”.
Procedura quindi più svelta, ma garanzie di assoluzione molto limitate.
Intendiamoci però. Il comico o l’ex comico, in realtà, propone un sistema giudiziario parallelo. Quello che c’è già adesso in Italia probabilmente gli va benissimo, anche se è guardato con una certa irritazione da quasi tutti i Paesi occidentali di antica democrazia consolidata. E, a quanto sembra, non dovrebbe comminare pene, se non il “pubblico ludibrio, o la gogna pubblica”. Quanto al castello di Lerici potrebbe anche essere un discreto soggiorno, dipende dai letti, dal cibo e dalla possibilità delle ore d’aria. Su questo punto Grillo specifica che si tratta solo di una realtà virtuale.
Ci troviamo quindi di fronte a un riforma ad hoc, temporale, che non prevede tagli di testa come nella “Gloriosa rivoluzione” inglese e neppure ghigliottine come nella Rivoluzione francese, ma solo l’ultimo atto di un colossale “sputtanamento” (ci scusiamo per il termine) della classe dirigente del Paese, che pare già condannata. Come può uscire dalla gogna mediatica un “trio” definito nell’atto di accusa “distruttore”?
Può darsi che l’ex comico o comico abbia alzato un poco i toni, come spesso gli capita e anche lui, qualche volta, riconosce. Ma questo modo di parlare tra il serio e il faceto o il grottesco, in un clima tanto arroventato come quello italiano, non lascia tranquilli.
In fondo, anche la gogna mediatica è stata usata in tanti regimi dittatoriali. Negli anni Trenta, in Italia, c’era il Minculpop che faceva le liste dei “buoni” e dei cattivi”. Uscivano poi su quel foglio giornalistico di antica “democrazia” come Il Popolo d’Italia. In fondo, anche nella “rivoluzione culturale” cinese, c’erano i delitti, i processi popolari, ma anche la gogna pubblica che investì non solo un uomo come Den Xiaoping, ma pure il braccio destro di Mao, il grande Zhou Enlai.
Tuttavia c’è una logica in questa temporanea e parallela riforma giudiziaria di Beppe Grillo. Dopo i “vaffa day”, dopo “li manderemo tutti a casa”, il tribunale della gogna è in fondo solo il risultato finale di una cultura che in venti anni si è quasi cementificata nelle teste di molti italiani. Se qualcuno poteva avere dei dubbi se avesse vinto o meno il giustizialismo in Italia, può trovare proprio in questa proposta “giudiziaria” di Grillo il risultato finale di dove è finita la cultura giuridica di quello che un tempo era il Paese di Cesare Beccaria. Complimenti vivissimi. Al contrario, s’intende.
(Abate Faria)