Caro Direttore, poiché è nato negli ultimi mesi il problema delle banche commissariate-obbligazioni subordinate e perdita del risparmio italiano, con ampia ricaduta mediatica, e conseguenti proteste di strada, discussioni televisive, e così via, vorrei proporre alcune questioni al fine di chiarire il percorso del come si è arrivati a questa deplorevole situazione e, non ultimo, alla repentina caduta (e successiva risalita) dei prezzi delle azioni e delle obbligazioni subordinate e non, delle società bancarie italiane quotate, in questo scorcio di inizio anno.
Se devo infatti attenermi all’interpretazione prevalente del consumatore risparmiatore, cioè colui che compra per sé prodotti finanziari, al fine di investire il suo risparmio, non si può non affermare che il risparmiatore italiano è alquanto impreparato sul piano della tecnica finanziaria e bancaria, quando prende le decisioni finanziarie di investimento o disinvestimento. Ora, è questo è il vero vulnus del problema. Per quanto concerne l’acquisto di un’obbligazione subordinata, l’anomalia che distorce la legge del mercato e la trasparenza sta nel fatto che chi ha proposto la compravendita dell’obbligazione è stata un’istituzione finanziaria, la Banca.
È su questa tradizione, sulla fiducia riposta nella Banca e sull’etica altruista della solidarietà, propria di un comportamento italiano che trova le sue radici nei principi cristiani, che si riesce a comprendere l’agire dei risparmiatori: ne è un riprova la dimensione del terzo settore in Italia. I risparmiatori, infatti, sono acuti nel loro mestiere o professione, ma ignoranti di fronte alla cultura finanziaria, alla conoscenza, alle clausole che non hanno capito, ma hanno fatto finta di capire per pudore e, una volta appurato con rabbia e dolore, la perdita del risparmio, si affidano o alla speranza o alla giustizia che invocano, ma non ne comprendono le norme, e purtroppo, si deve constatare, che dal tempo della peste a Milano dei Promessi Sposi, nulla è cambiato: Renzo si reca ancora oggi dall’Azzeccagarbugli con due capponi nella cesta.
Mi sia concesso – ora – di accennare ad alcune teorie, di origine anglosassone, per arrivare a una spiegazione delle cause che hanno determinato questa situazione. Naturalmente queste teorie, ad alto grado di sofisticazione, introducono una serie di elementi, di fattori, che rendono problematico il rapporto finanza-etica e politica-società civile, proprio della tradizione cattolica (vedi, ad esempio, le encicliche “Rerum Novarum” e “Centesimus Annus”).
Fin dal 1970, l’economista statunitense Eugene Fama aveva definito un mercato efficiente quando nei prezzi attuali dei titoli sono già riflesse tutte le informazioni disponibili, e pertanto i prezzi delle attività finanziarie tendono nel lungo periodo a uguagliare i valori fondamentali, in quanto gli investitori informati sono razionali e l’arbitraggio elimina le eventuali anomalie dei prezzi. Le evidenze empiriche hanno messo in luce la presenza di diverse anomalie e distonie nella teoria del mercato efficiente, dimostrando invece comportamenti poco razionali, spiegabili con la psicologia comportamentale definita anche “behavioral finance”.
Tale teoria sottolinea che il comportamento sia degli investitori che degli operatori professionali e degli analisti finanziari è sempre umano, e quindi soggetto a irrazionalità. Irrazionalità confermata poi dalla teoria del prospetto, talmente innovativa che ha permesso ai sui promotori Kahneman e Tversky di vincere il Premio Nobel per l’economia nel 2002, in quanto hanno integrato i risultati della ricerca psicologica nei processi decisionali economici in condizioni di incertezza. La teoria poggia sulla constatazione che gli individui valutano ogni possibile esito di una decisione sulla base di un punto riferimento o status quo. Ne deriva quindi che, a seconda dello status quo, la decisione cambia. Gli individui non agiscono sempre razionalmente, ma in base alle esperienze passate, alle loro credenze, a come vengono loro presentate le informazioni,alla loro posizione finanziaria, alla completezza o all’incompletezza informativa.
Vorrei qui fare un breve cenno all’informazione: pochi settori dell’attività umana sono contraddistinti da una quantità di informazioni uguali a quelle presenti nei mercati finanziari, ma proprio queste troppe informazioni rendono lo spazio decisionale ingestibile; in sostanza, troppe informazioni non fanno decidere razionalmente: ecco perché gli investitori risparmiatori diventano non informati. Essi fanno scelte diverse che dipendono dal modo in cui un dato problema viene loro presentato e quindi prevedono eventi futuri incerti basandosi su una breve serie storica di dati, e attribuiscono un peso maggiore alle osservazioni più recenti. Queste scorciatoie mentali vengono definite euristiche, che riflettono quindi i giudizi comuni, le chiacchiere e i consigli degli altri, dei conoscenti, exc.
Nel 1986 Fisher Black, (altro premio Nobel) in un articolo in “Journal of Finance”, evidenziò che gli investitori agiscono su “voci” piuttosto che su informazioni, nel senso che seguono consigli di guru, di esperti, di persone considerate affidabili; in poche parole, gli investitori si comportano con strategie di investimento come operatori “non informati”. Pertanto gli errori non sono casuali, ma correlati. Tutto questo attiene alla psicologia dei mercati finanziari, per noi massa dei risparmiatori alquanto oscura, ma che viene molto studiata e applicata, invece, dai protagonisti della finanza, sia diretti che indiretti, che in Italia hanno creato a ondate ricorrenti, scandali finanziari del risparmio tradito. Solo per ricordarne alcune: Cultrera, Norditalia-Canevesio, Cragnotti-Cirio, Tanzi-Parmalat, Italease-derivati, ecc.
Si può dunque credere che il risparmiatore italiano che ha acquistato un prodotto finanziario complesso come un’obbligazione subordinata fosse informato? Che fosse a conoscenza del rischio? Che sapesse esattamente cosa stava acquistando? Si parla ora di educazione finanziaria, ma vorrei segnalare che già il Libro Verde della Commissione europea dell’ aprile 2007 al paragrafo 38 evidenziava come “numerose indagini internazionali hanno mostrato un livello ridotto di comprensione delle questioni finanziarie da parte dei consumatori e la capacità di prendere decisioni appropriate perché di solito le informazioni sono concepite per il consumatore medio e non per un pubblico con conoscenze limitate in materia”. Dal 2007 a oggi nulla è stato fatto, e ancora oggi – come possiamo apprendere dalle notizie di stampa – il problema sussiste e i risparmiatori, noi parco buoi, saremo sempre destinati alla mattanza.
Ne è una riprova l’effetto domino del panic selling in corso, sui titoli delle banche italiane, quotate alla borsa valori. Negli ultimi venti giorni la perdita di valore della capitalizzazione delle principali banche del Paese è mediamente di oltre il 20%. Senza entrare nella querelle dell’attacco alle banche italiane, di cui gli articoli dei quotidiani italiani di oggi riportano, vorrei solo focalizzare l’attenzione sulla tecnica operativa di Borsa. La capacità di condizionare il mercato da parte di alcuni operatori (da ultimo lo scandalo della manipolazione del Libor del 2015), concentrando una grande quantità di titoli in un determinato momento in vendita, può provocare una caduta del prezzo, in quanto la quantità dei titoli che sostengono la domanda non è bilanciata. Ne consegue che il prezzo scende vertiginosamente e la speculazione, cavalcando l’onda, ne amplifica l’effetto mediatico e quello finanziario, inducendo – appunto – il panic selling dei risparmiatori, che emotivamente vendono.
Ora che il prezzo di un titolo tenda sempre al suo valore reale nel lungo termino è postulato economico e ampie oscillazioni di prezzo nel breve periodo non sono giustificate, se non per emotività, nel senso che, o antecedentemente i titoli erano sopravalutati e tutti non se ne erano avveduti, oppure ora sono sottovalutati, e anche in questo caso nessuno razionalmente avverte l’incongruenza. Ma tant’è, la società italiana – agricola e rurale cattolica – fino al dopoguerra è sempre stata legata alle cose reali: la casa, i buoni postali, della banca, dello Stato; poi è arrivata l’industria e quindi la borsa, i mercati, le valute, i derivati, la globalizzazione dei mercati finanziari. La finanza è astratta ed eterea e quello che avviene, la ricerca del paradiso terrestre per sottrarsi alle fatiche del lavoro e vivere del risparmio guadagnato, è, e rimarrà, solo utopia e appannaggio di pochi.