Il successo temporaneo del governo Monti sta creando l’illusione che la crisi sia ormai alle spalle. Non è così. Il mercato finanziario aspetta di vedere se l’Italia riuscirà a confermare il rigore e a ottenere più crescita. E se non vedrà una probabilità crescente che ciò avvenga ricomincerà a scommettere contro la capacità dell’Italia di ripagare il suo debito.
Pertanto Monti ora deve riuscire a continuare l’azione di rigore, rendendolo credibile via riforme di impulso alla crescita. Ma farà più fatica sia perché i cambiamenti sono molto difficili, sia perché il sistema politico appare meno disposto a subire passivamente le decisioni governative, che tendono a ledere interessi consolidati, in quanto crede che l’emergenza sia ormai passata.
Infatti, la scorsa settimana si è potuto osservare quanto il governo abbia modificato, ammorbidito e annacquato alcune proposte di riforma. In parte ciò è dovuto a un riesame della fattibilità dei dettagli avendo avuto più tempo per studiarli, ed è fenomeno normale. Ma in parte maggiore gli interessi corporativi che resistono al cambiamento sono riusciti a piegare la volontà riformatrice del governo, segno di una sua forza decrescente.
E ciò preoccupa in vista di due misure cruciali per la riforma di efficienza: la nuova regolazione più flessibile del lavoro e il controllo nel merito della spesa pubblica (spending review). Se la prima verrà troppo annacquata non avrà né effetti reali di impulso alla crescita, né farà valutare agli osservatori esterni dell’Italia che il suo sistema si sta modernizzando. Se la seconda non riuscirà a individuare un obiettivo di taglio sostanziale della spesa, pur in più anni, ciò esporrà l’Italia alla previsione che troppi costi e troppe tasse per finanziarli soffocheranno la crescita e impediranno il mantenimento del rigore.
C’è questo rischio. Da un lato il governo sta dichiarando che andrà avanti anche senza accordo tra le parti sociali entro la fine di marzo. Dall’altro, sta generando un modello di flessibilità insufficiente per eccesso di compromessi. L’annuncio di spending review non contiene, finora, due elementi fondamentali: l’obiettivo di taglio della spesa strutturale e un modello di welfare più efficiente con cui comparare quello attuale per modificarlo. Senza tali elementi l’azione sarà irrilevante. E il governo appare timoroso di esplicitarli per evitare l’ovvia levata di scudi da parte degli interessi colpiti.
A questi due sintomi di indebolimento della forza riformatrice del governo se ne può aggiungere un terzo: dopo tre mesi non c’è ancora un progetto di come usare il patrimonio pubblico per ridurre il debito, azione questa di massima priorità, ma contrastata da sempre dagli interessi che trovano vantaggi nella gestione opaca e inefficiente del patrimonio stesso. Sembra che il sistema politico stia riassorbendo l’azione riformatrice di Monti entro i propri criteri di immobilismo spugnoso.
A ciò ha contribuito lo stesso Monti esagerando con le dichiarazioni di fine dell’emergenza. Non so se l’abbia fatto per ingenuità, vanità o per la necessità di indurre ottimismo, utile alla ripresa, degli italiani. Comunque sia ha ottenuto l’effetto controproducente di togliere al suo governo la forza riformatrice data dalla percezione diffusa e condivisa dell’emergenza.
Per questo è utile segnalare che l’emergenza non è finita e che o Monti usa nuovamente l’emergenza stessa per procedere con riforme vere oppure dovrà considerare configurazioni diverse del consenso parlamentare per tentare di attuarle.