Senatore Rossi, una manovra triennale approvata prima della fine dell’estate è un evento eccezionale. Qual è il suo giudizio in merito all’analisi dell’economista Paolo Costanzo pubblicata il 13 agosto su ilsussidiario.net?
La gran parte delle considerazioni di Costanzo riguardano il metodo di questa manovra sul quale non ho molto da eccepire, sono tutte argomentazioni condivisibili. L’aspetto positivo della manovra è proprio il metodo, anzi è solo il metodo perché sui contenuti c’è molto da dire. Rimane da capire se il metodo di questa manovra riuscirà ad imporsi dal momento che non mancano i problemi di contenuto. C’è da augurarsi che a settembre il tentativo di intervenire su questi non faccia saltare il metodo.
A quali problemi di contenuto si riferisce?
Partiamo da una considerazione semplice: abbiamo un caso di inflazione importata, una tassa che il Paese deve pagare, una tassa imposta al Paese. Nello schema di politica economica del governo questa tassa viene fatta pagare dai redditi da lavoro. Ora sul fatto che di fronte a un caso di inflazione importata bisogna fare di tutto per evitare una spirale inflazionistica mi trovo completamente d’accordo. Se ci si trova a dover fare i conti con l’inflazione importata bisogna tenere ferma e moderata la crescita del costo del lavoro. Su questo non ci piove e mi trovo perfettamente in linea con la manovra. Esprimo invece molte perplessità è quando si immagina di poter chiedere alle retribuzioni nette di non crescere o di crescere pochissimo, comunque meno della produttività, dopo quindici anni in cui questo già accade.
Su quale versante occorrerebbe intervenire invece?
Una soluzione differente c’era ed è quella che l’opposizione andava proponendo da molto tempo: occorreva intervenire massicciamente sul versante fiscale facendo in maniera che, a costo del lavoro in crescita molto moderata, potesse corrispondere una crescita un po’ meno moderata delle retribuzioni nette a causa del minor peso della fiscalità. Naturalmente questo richiedeva interventi sul versante della spesa assai più puntuali e decisi di quanto lo schema politico economico contenuto nei decreti attuali non contempli.
Queste sono le mie principali osservazioni. È l’avvertenza di uno che sostiene la piena fattibilità degli obiettivi che il governo si è posto, ma al contempo segnala mancanza di elementi fondamentali per il loro conseguimento. Il rischio è quello di cadere in una situazione in cui si sfonda il bilancio pubblico, e io non credo che il ministro Tremonti voglia una cosa di questo genere, oppure si finisca in una situazione socialmente molto difficile.
Non ritiene necessaria una razionalizzazione della spesa pubblica? Sebbene questa porti con sé numerose proteste, pensiamo, per esempio ai rettori universitari.
La spesa non è stata razionalizzata. A mio avviso il termine “razionalizzazione” è sinonimo di non fare nulla. È una parola che si pronuncia ogni volta che si vara una finanziaria e rappresenta la foglia di fico dietro cui si nasconde la difficoltà di tagliare la spesa.
Dal mio punto di vista la scelta dei tagli lineari, è stato scritto molto bene da Francesco Giavazzi sul Corriere, è molto poco ragionevole, perché spesso corre il rischio di non produrre risparmi realmente efficaci. I tagli lineari non producono l’effetto voluto e spesso corrono il rischio anche di sollevare proteste in quanto colpiscono spesso realtà che non dovrebbero colpire. Hanno la caratteristica di non essere selettivi mentre un taglio di spesa, per essere accettabile, deve avere un criterio di selezione. Così come il governo sta facendo si rischia di punire quelle università “buone” che dovrebbero invece essere finanziate di più.
Insomma, al di là del metodo, non salva nulla dei contenuti del decreto?
Una delle norme contenute nel decreto, quella della trasformazione dell’università in fondazioni, poteva essere una delle più rivoluzionarie e importanti. Ma tale norma ha un senso solo se accanto alla maggiore sensibilità offerta dallo schema privatistico delle fondazioni si fosse imposto anche un cambiamento nei dispositivi di finanziamento passando dal finanziamento degli stipendi dei docenti al finanziamento delle borse di studio degli studenti. Questa seconda parte manca. E quindi si sta regalando ai docenti universitari la sicurezza del finanziamento pubblico e la libertà di movimento del privato. Diverrà il paradiso dei docenti e l’inferno degli studenti.
Questo è un buon esempio di una scelta condivisibile e interessante, ma che non si è avuto il coraggio di portare fino in fondo. Le riforme condotte a metà non è che producano scarsi risultati, non ne producono affatto. Anzi spesso causano risultati negativi. Il centrosinistra ha dato degli esempi straordinari, da questo punto di vista, di norme pensate male che poi hanno prodotto risultati negativi. Speravo che il centrodestra avesse imparato dai nostri passati errori.
Un recente articolo di Oscar Giannino parlava di una manovra volta più a limitare gli aumenti delle spese anziché tagliare la spesa attuale. Qual è la sua opinione in merito?
Sono totalmente d’accordo. Non si vede una vera volontà di incidere sul corpo della spesa e, ovviamente, capisco che sia un’operazione difficilissima. L’obiettivo mi sembra quello di assicurare un contenimento delle spese molto più che non invece un cambiamento di fondo dei meccanismi di spesa. Per tornare all’esempio di prima: passare dal finanziamento degli stipendi al finanziamento delle borse di studio forse non avrebbe fatto risparmiare il bilancio dello Stato, ma avrebbe modificato al fondo il meccanismo di premio e avrebbe introdotto una diversa disciplina per le università. Insomma sarebbe stato un cambiamento basilare dal punto di vista della spesa pubblica.
Ha in mente altri esempi di “rivoluzioni mancate”?
Per esempio avrei preferito che si centralizzassero non solo i fondi per il mezzogiorno già disponibili per i ministeri, ma soprattutto quelli disponibili presso le regioni, ossia lì dove lo spreco si annida. Ciò avrebbe implicato un cambiamento radicale dei meccanismi di spesa. Anche questo non si è voluto fare, la centralizzazione si è limitata ai solo fondi nazionali, ma non ci vuole molto a centralizzare denaro di cui si ha già la disponibilità.
Tremonti prevede di raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2011. A fronte di questa manovra le sembra un pronostico plausibile?
Si tratta di un obiettivo che Tremonti condivide con il precedente governo. Lo condivido e credo che sia fattibile, però dev’essere un obiettivo da perseguire attraverso non solo il controllo, ma anche il taglio della spesa. Il pareggio non basta sapendo, per esempio, che viene raggiunto con un incremento delle entrate. Il problema del bilancio pubblico italiano non è più quello dei tagli, ma della composizione del bilancio stessa, il fatto che assorba una quantità di risorse dell’economia francamente eccessiva. E naturalmente la questione del debito.
Se posso aggiungere un’osservazione, uno degli obiettivi di fondo di questa maggioranza era effettuare una manovra importante sul versante della privatizzazione dei beni degli enti locali. C’è una norma nel decreto che prevede procedure molto interessanti per arrivare alla privatizzazione dei beni degli enti locali, ma c’è un anche appunto: non si sa entro che anno debbano essere effettuate queste procedure. Quindi s’è scritta una norma che non è cogente. Ora, è possibile che magicamente, come qualcuno della maggioranza osservò in parlamento quando ne discutemmo, il rapporto fra governo ed enti locali in questa legislatura sia talmente buono da non dover forzare nessuno a procedere. Può darsi che tutti gli enti immediatamente decidano di privatizzare i beni di cui non hanno bisogno, ma che io mi ricordi una fatto simile non è mai accaduto.