La crisi è finita, e ciò è stato possibile essenzialmente per due uomini, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il capo della Lega Matteo Salvini.
A Mattarella vanno i meriti maggiori, non perché è il Capo dello Stato, ma perché ha condotto con grande pazienza una trattativa estenuante ed è riuscito a riprendersi subito dalla scivolata su Paolo Savona.
Sbagliare è umano, correggersi è quasi divino, è santo. Cioè Mattarella è riuscito a trovare una quadratura intorno al nome di Savona e non si è fatto irretire dalle sciocche sirene che chiedevano un “partito del presidente”, che avrebbe distrutto la Repubblica. Ma ci si illude che oggi Mattarella possa ritirarsi. Lui è di fatto la guida ombra del governo, e qui la sua saggezza sarà messa ogni giorno alla prova.
Salvini è stato bravo a tenere sempre la barra al centro, e a sostenere Mattarella e lo Stato anche quando sembrava andare contro gli interessi del suo partito. Dopodiché la politica è competizione continua, e Salvini ha bisogno di una lista molto lunga di cose, ora, per sopravvivere e crescere. Se non lo fa può entrare in una gabbia da cui rischia di non uscire.
La scelta di Conte come premier, Tria come ministro dell’Economia e Moavero agli Esteri significa che tre dicasteri chiave vanno a persone non controverse. Lo spostamento di Savona a un ministero meno significativo, e la bocciatura del vigoroso Giampiero Massolo agli Esteri, sono un cartellino giallo proprio per la Lega.
Gli altri ne escono con lezioni più pesanti da imparare. Il M5s si è mosso in maniera molto scomposta, talmente male che è impossibile attribuire tutte le colpe al povero e giovane Luigi Di Maio. Il Movimento deve ripensarsi profondamente, se vuole sopravvivere oltre questa legislatura. È chiaro che la corsa a questo governo è stata dettata dalla disperazione: se si fosse andati alle elezioni, M5s avrebbe assistito a un travaso dei suoi voti verso la Lega. La disperazione, l’opportunismo sono il pane quotidiano della politica, quindi niente di male — purché imparino.
Il Pd è ancora più confuso. Come commentava il saggissimo Arturo Parisi, non ha capito perché ha vinto e ancora oggi non capisce perché ha perso. La storia del partito del presidente era un omicidio-suicidio: avrebbe ucciso Mattarella, trasformandolo solo in presidente di una minoranza d’Italia, e suicidio, perché avrebbe dimostrato che neanche lo schermo presidenziale sarebbe bastato a proteggere il Pd. Senza un’opposizione vera ed efficiente l’Italia è più debole, quindi più di ogni altro il Pd ha bisogno di idee e pensieri, e se mangia pop-corn è un regalo che fa agli altri.
Infine FI di Silvio Berlusconi. Delle due l’una: o il cavaliere esce fuori con qualche idea nuova o lascia il partito ad altri, perché così è destinato solo all’estinzione, cosa che poi toccherà anche le sue aziende… e il paese, visto che nel bene o nel male ha marcato 25 anni di storia e questi buchi non sono facili da colmare.