Senza una profonda modifica del modello politico europeo l’euro non potrà restare in piedi. La politica se ne sta accorgendo, anche la riluttante Germania, ma ci vorrà del tempo per avere dei risultati. Un anno, probabilmente due dopo le elezioni politiche tedesche nel 2013. Nel frattempo bisogna tenere in piedi la baracca. Sarà possibile? E se sì come?
Sarà possibile. Si tratta di sostituire l’assenza di un modello politico che garantisca i debiti nazionali e aiuti la crescita nelle nazioni più deboli con iniezioni di liquidità che finanzino comunque il modello-catorcio. Tale strategia è già in corso. Inizialmente l’ho criticata perché sperare di sostituire con la liquidità la necessaria strutturazione di un modello è un evidente illusione. Ma i segnali della settimana scorsa, ripetuti pur a bassa a voce nel summit di fine settimana del Fmi a Washington, fanno intendere, appunto, che la politica, finalmente, ha capito. L’espressione più forte è venuta da Merkel: se l’euro crolla salta anche la Ue. Merkel non è ancora disposta a mollare il modello dove ogni euronazione debba arrangiarsi da sola senza poter contare su un’agenzia europea di politica economica con risorse comuni – o meglio non può dirlo per non essere linciata dai pagatori di tasse tedeschi che non vogliono finanziare la Grecia imbrogliona o l’Italia disordinata – ma si rende conto che qualcosa in questa direzione dovrà essere fatto.
Anche perché la Francia, pur non disposta ad ammetterlo, è il nuovo fronte della crisi dell’Eurozona: non riuscirà a rientrare presto dal deficit, il suo sistema bancario è fragile, il suo debito crescente e già fuori limite. Se la Francia va kaputt, con l’Italia che per restare nell’euro deve affamare i suoi cittadini, è evidente che la Germania sarà isolata con danno gravissimo per i suoi interessi. Certamente farà qualcosa. E proprio questa considerazione ci porta a valutare per quanto tempo e chi potrà finanziare il sistema in attesa della sua riparazione.
Il chi è la Bce. La sua missione di contingenza è duplice: (a) contenere il costo di rifinanziamento dei debiti sovrani in crisi di fiducia, con un’operazione straordinaria sulla Grecia per coprirne l’insolvenza già evidente anche se non formalizzata; (b) dare tutta la liquidità necessaria alle banche dell’Eurozona che hanno difficoltà a reperirla sul mercato interbancario a costi ragionevoli, perché il timore dell’implosione dell’euro – e quindi della perdita di valore dei titoli di debito che le banche possiedono, spesso messi a patrimonio – lo ha congelato. Se ci riuscirà darà tempo alla politica di trovare una soluzione al problema complesso di costruire un’almeno mezza Europa politica facendo in poco tempo quello che non è riuscito finora, in sostanza, per motivi nazionalisti-protezionisti. Ma per quanto tempo può farlo?
Al riguardo del finanziamento del sistema bancario la capacità è molto ampia. Le risorse per la prima missione, invece, le ha nella misura in cui riuscirà a stampare di fatto moneta, comprando titoli di debito, cosa che le è vietata dallo statuto. Ma di fatto lo sta già facendo da tempo perché la Germania chiude un occhio, appunto, in quanto tale finanziamento del modello-catorcio “compra” tempo per trovare una soluzione. Ma non potrà farlo per sempre, e non con l’intensità con cui lo si fa in America, perché tale strategia produce inflazione ed ha un limite. Se il mercato non crede alla salvezza dell’euro non c’è Bce che tenga. Quindi nel corso dei mesi i governi dovranno mostrare che, pur lentamente, stanno muovendosi verso un accordo. Si comincia a vedere la luce alla fine dell’eurotunnel, anche se la strada è ancora lunga e buia.