Sembra, ma il condizionale è d’obbligo, che sia possibile far decollare entro lunedì il “piano B” per il salvataggio di Cipro. Scartata la via del salasso ai conti correnti, le forze politiche si stanno orientando per la creazione di un veicolo in cui far confluire la parte più ambita degli assets dell’isola, inclusi i giacimenti marini di gas. In questo modo, Nicosia sarà in grado di rastrellare i 5,8 miliardi che mancano per finanziare il salvataggio del Paese. Se questa sarà la soluzione, in termini geopolitici, l’Unione europea avrà consegnato, in tutto o in parte, una fetta rilevante delle riserve energetiche europee alla Russia e indebolito la posizione della Comunità in un’area ad alto valore strategico, a poche centinaia di chilometri da Tel Aviv. Il tutto per risparmiare l’importo dell’Imu.
Certo, non ha torto chi invita a non esagerare la portata della crisi di Cipro. L’economia dell’isola, ha sottolineato sul New York Times il premio Nobel Paul Krugman, ha la stessa dimensione della cittadina di Scranton, contea di Lackawanna, Pennsylvania nordorientale. Una scintilla nella santabarbara di Nicosia non farà certo esplodere la seconda area valutaria del pianeta. Ma non va dimenticato che ragionamenti del genere, nel 2010, erano moneta corrente degli eurottimisti ai primi segnali della crisi greca: il Pil di Atene, si ripeteva, è solo il 2,5% di quello dell’Ue. Eppure, il rifiuto dei partner forti a intervenire a sostegno delle finanze della Grecia ha scatenato un contagio costoso e devastante sul piano psicologico.
L’errore, nonostante il prezzo pagato in questi anni per gli aiuti a Grecia, Portogallo, Irlanda e alle banche spagnole, si è ripetuto. Anzi, per dirla con Wolfgang Munchau del Financial Times, “se si voleva portarsi avanti sulla strada della distruzione dell’euro, a Bruxelles hanno fatto un ottimo lavoro”. È come se ci fosse accesa una scritta al neon, sostiene Krugman, che dichiara aperta, in greco e in italiano, la corsa al ritiro dei depositi.
Inutile sostenere, come vanno facendo a Bruxelles o a Berlino, che la decisione di intervenire sui depositi sia stata fatta a Nicosia. Ed è altrettanto inutile appellarsi alla “diversità” del caso di Cipro, Paese da punire perché le sue banche hanno speculato sui bond greci (poi svalutati per volere dell’Ue) o perché la stragrande maggioranza dei depositi è di origine russa. Si tratta di argomenti opinabili, per almeno tre ragioni: primo, quando si è effettuato il bailout della Grecia, sacrificando i portatori di obbligazioni ma non i crediti delle banche tedesche, si doveva rivedere l’effetto su Cipro; secondo, quelli russi non sono depositi di serie B, a meno che l’Ue non si impegni a ripulire le varie lavanderie d’Europa (Lussemburgo, Austria, Ungheria), cosa che non è stata fatta prima dell’emergenza finanziaria; terzo, si è introdotto un principio devastante per cui non esiste alcun tabù (conti correnti, obbligazioni, beni immobili piuttosto che altre forme di ricchezza mobiliare o immobiliare), purché vengano risparmiate le economie più forti del Nord.
Ormai, nel disegnare i piani di salvataggio – per dirla con Alessandro Fugnoli di Kairos – “si agisce senza regole. In Grecia si colpiscono le obbligazioni del sovrano e si salvano quelle delle banche. In Irlanda e Spagna si fa il contrario. A Cipro tocca ai correntisti, mentre i bond del sovrano non vengono toccati. All’Italia, se mai sarà il caso, toccherà una patrimoniale universale, sulla quale si esercitano da due anni numerosi uffici studi tedeschi”.
Già, perché mentre l’Italia era impegnata in una contesa elettorale demenziale, in cui si mescolano inni alla decrescita, rimborsi dell’Imu o priorità come la legge sul conflitto di interesse, in Germania da mesi si dibatte sui quattrini da versare per Cipro: poco più di un miliardo, mica molti di più dei 750 milioni che toccherà versare all’Italia che ha promesso 125 miliardi di dotazione per il fondo Ems. Ma da noi questi temi, così inefficaci in un talk show elettorale condotto da qualche comico, non sono considerati perché “non bucano lo schermo”.
Eppure è il caso di svegliarsi anche se, ahimè, siamo già fuori tempo massimo. Per nostra fortuna, la congiuntura internazionale positiva protegge l’Italia da attacchi speculativi, a partire dal sistema bancario, il modo più facile per aggredire il debito italiano in un anno di richieste modeste dal Tesoro. Inoltre, nei fatti, l’Europa alla tedesca sta lentamente ripudiando l’austerità: gli obiettivi di disavanzo sono stati spostati in avanti nel tempo e tutto fa pensare che non verranno nemmeno rispettati. E così Mario Monti, che deve buona parte del suo flop elettorale all’austerità, può far sapere a proposito del pagamento dei crediti alle imprese, di aver avuto il via libero dall’Ue a dimostrazione che “il rispetto delle regole prima o poi paga”. Purtroppo per lui, più poi che prima.
Ma fino a quando reggerà la tregua? Non ci sono garanzie contro gli incidenti di percorso che, sulla strada europea, si presentano a ogni curva. La via più saggia, per evitare inciampi rovinosi, consiste nella creazione di un governo di unità nazionale capace di trattare con l’Europa la ristrutturazione del nostro debito prima che a imporcelo in modo più duro siano i mercati. In parallelo è necessario introdurre un ventaglio di riforme con un denominatore comune: favorire gli investimenti internazionali, garantendo protezione giuridica, corsie burocratiche agevolate e trattamento fiscale competitivo. Oltre a un patto sociale ben definito: meno trattenute, in prospettiva, sulla busta paga (quindi meno spesa per far marciare la macchina pubblica), più flessibilità nell’orario in cambio di più sicurezza del posto.
È un passaggio stretto e delicato. Ma l’alternativa è che, prima o poi, quando l’Italia si troverà a chiedere quattrini (e capiterà, senza riforme drastiche) da Berlino o da Monaco ci verrà ricordato che la ricchezza delle famiglie italiane, rispetto al Pil, è superiore a quella dei tedeschi. Perciò, prima di chiedere i soldi a Bruxelles, Helsinki o Amburgo, pagate. Come? Scegliete voi: o sui conti correnti, o sulle obbligazioni o sul patrimonio immobiliare o sulla torre di Pisa. L’Europa, come si è visto a Cipro, per ora vi assicura la libertà di scegliere la corda a cui appendervi.