Come mai ieri il Financial Times ha sentito il bisogno di schierarsi anima e corpo a difesa di George Soros? E non in un articoletto ma mettendo in campo un bomber come Gideon Rachman, a detta del quale «l’aumento delle teorie cospirative riguardanti George Soros riflette trend sempre più profondi e preoccupanti nella politica a livello mondiale». Forse perché qualcosa sta cambiando. Nelle strade. Nelle Borse. Nei Parlamenti. Da Barcellona all’Ungheria, alla Macedonia alla Siria, sono troppe le tracce di sé e del suo operato che Soros ha lasciato, specialmente dall’inizio di quest’anno e la sua attuale campagna “colorata” nei Balcani non sta passando inosservata: occorre tentare l’extrema ratio: un’offensiva mediatica che vada a unirsi a quella pressoché globale in nome del politicamente corretto della lotta alle fake news. Pena, l’incapacità di gestire al meglio ciò che sta per arrivare.
Sul finire della scorsa settimana avevo concluso un mio articolo dicendo che, stante la situazione finanziaria globale, una sua risoluzione necessiterà che accada di tutto. E vi dissi, accadrà. Che ne dite della scacchiera che la Catalogna ha fornito all’Ue per ribaltare certe dinamiche? Certo, la Commissione ha ribadito che quanto sta accadendo è questione interna alla Spagna, ma l’Ue ha anche condannato le violenze: domani, formalmente, Barcellona dovrebbe dare il via alle procedure formali per l’indipendenza. Come reagirà Madrid? Come ha dichiarato il ministro degli Esteri o quello dell’Interno? Oggi sarà sciopero generale in Catalogna, andrà tutto liscio, al netto di oltre 10mila agenti della Guardia Civil che non si muoveranno dalla regione, finché la situazione non sarà stabilizzata? Se succederà qualcosa al di fuori dalle righe, state certi che la Catalogna cesserà di essere un problema interno per l’Ue.
Viviamo in un mondo fuori controllo. Ed è necessario che sia così. Di fatto, l’agenda Soros deve proseguire: con lui o senza di lui. Avete sentito una parola sulla questione spagnola dalle grandi potenze, Usa, Cina Russia? Eppure, stiamo parlando della stabilità stessa di un Paese dell’eurozona. I mercati, ieri, lo hanno segnalato chiaramente. Lo spread dei Bonos con il Bund tedesco si è allargato a oltre 120 punti base (+7 punti base in apertura), con un rendimento salito all’1,68%, ai massimi dalla metà di luglio, mentre la Borsa di Madrid cedeva all’ora di pranzo l’1,3%. «Le vendite hanno senso, almeno per oggi, alla luce delle notizie del weekend e della percezione di un accresciuto rischio politico domestico e di incertezza» ha commentato a Bloomberg, John Davies, strategist di Standard Chartered. E ancora: «Perché le pressioni siano sostenute nel tempo occorrerà però un continuo flusso di notizie che suggerisca un deterioramento della stabilità politica in Spagna». Perché un operatore di mercato dovrebbe porsi il problema strategico di un peggioramento del sentiment? Semplice, per ciò che vi ho spiegato nell’articolo di ieri: la Catalogna è il mozzicone di sigaretta gettato nelle sterpaglie di un’eurozona che finora ha campato di Qe e dati macro drogati, ma che, adesso, è obbligata a rientrare in fretta e furia nell’alveo della realtà. I giochi sono finiti, ora la Bce o decide o cambia narrativa e guida la transumanza verso una nuova emergenza.
Per Societe Generale, il mix rappresentato da un governo di minoranza e la spinta indipendentista dei catalani potrebbe impedire alla Spagna di realizzare le riforme di cui ha bisogno. Tanto è vero che, nel corso del mese di settembre, mentre gli altri indici dell’area euro sono rimbalzati a causa di una pausa nel rally della moneta unica, l’Ibex di Madrid ha sottoperformato in coincidenza con l’approvazione del referendum da parte del parlamento catalano, lo scorso 6 settembre. Sempre stando a Socgen, ci sono 18 titoli spagnoli esposti alla Catalogna e a rischio in caso di un escalation di tensioni, tra cui Banco de Sabadell, Bankinter, Bbva, Caixabank, Abertis, Mediaset Spagna, Inditex, Repsol, Endesa, Gas Natural e Iberdrola. E attenti, il sistema bancario spagnolo nel suo complesso è tutt’altro che sano, visto che la sesta banca del Paese, quella più esposta alla Pmi, Banco Popular è crollata in sei giorni all’inizio di luglio, salvo poi essere “salvata” da Santander alla cifra da saldo di 1 euro.
E se parte il contagio? Magari è la volta buona che la Spagna, esattamente come l’Italia, darà vita a ciò che la Bce chiede da tempo: una bella concentrazione del sistema bancario, con pochi soggetti forti che inglobano banche e popolari a prezzi di saldo. Quindi, senza praticamente esborsi, ma con guadagni netti in fatto di assets, tutta roba buona che va a bilancio. Pensate che il mercato abbia scoperto certe debolezze solo ieri, a causa del referendum? No, i cali e l’aumento dello spread sono dovuti all’atteggiamento da “me ne lavo le mani” dell’Ue: appena Bruxelles muoverà un dito, tornerà tutto profittabile e bellissimo. Le crisi servono sempre a qualcosa. Però, bisogna saperle creare e gestire.
Credete davvero che sia tutto slegato, che gli avvenimenti accadano a caso? Ad esempio che a meno di un mese dalla fine dello stato di emergenza, tanto comodo a livello di gestione del disagio politico e sociale, soprattutto a fronte del crollo del consenso, in Francia l’Isis sia tornata a colpire con un lupo solitario radicalizzatosi in un giorno? E i 50 morti e gli oltre 200 feriti di Las Vegas, al netto di quanto ci diranno le indagini ufficiali rispetto al movente, dove hanno colpito? A un concerto country a Las Vegas, un concentrato di simbologia straordinario: bianchi, tradizionalisti, nella città del vizio. Oltretutto, in maniera tale da far tremare le vene ai polsi a chiunque, d’ora in poi, sia intento a prendere parte a un evento pubblico. È l’America delle tensioni sociali, l’America del nuovo Russiagate in versione social network che scomoda i divi di Hollywood in nome del patriottismo anti-russo, l’America del Mid-West contro gli anti-fascismi di varia risma di neri e intellighenzia liberal, l’America – soprattutto – del dibattito sul tetto di debito che entro fine settembre doveva trovare una risposta e, invece, grazie al computo dei danni degli uragani inseriti nel calcolo, ha calciato ancora un po’ il barattolo. Come ha fatto la Fed, d’altronde, spostando ogni decisione su un nuovo rialzo dei tassi a dicembre.
Nel frattempo, in silenzio, ieri la Cina ha tagliato i requisiti minimi di riserva per le banche di almeno 50 punti base, la prima e più grossa mossa di liberazione di liquidità da febbraio 2016: sintomo di un sistema sano e solvibilità? Di fatto, stiamo tornando all’epoca dei piccoli Qe trimestrali. Ovvio, il fatto che il 18 di questo mese inizi il Congresso del Partito Comunista può far leggere questa decisione come la volontà di stabilizzare ulteriormente i mercati, ma giova ricordare che, di fatto, erano già stato allertati i gestori di fondi e che da qui a quella data, il mercato cinese sarà aperto per pochissime sedute di contrattazione, stante le festività del periodo del Paese. Insomma, anche Pechino ha paura.
E sapete cosa unisce tutto questo, Soros alla Catalogna, l’America impaurita alla Cina iper-protezionista? Quanto ci dice il grafico più in basso, ovvero il fatto che le deliranti politiche post-crisi del 2007 ci hanno regalato un sistema di strumenti finanziari a livello globale, ovvero incluso lo shadow banking, per un controvalore di 500 triliardi di dollari nominali, qualcosa come circa il 500% del Pil del pianeta. Senza contare i 400 triliardi di gap di finanziamento dei sistemi pensionistici di Regno Unito, Olanda, Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Australia e Canada entro il 2050. Il mondo sta bollendo dentro un pentolone di debito, leverage e sotto-capitalizzazione. Non c’è via d’uscita. O, almeno, non c’è via d’uscita indolore.
Prepariamoci a tante Catalogna, tante Las Vegas, tanti eventi apparentemente scollati che però portano a un unico epilogo: mosse emergenziali, quasi sempre finanziarie o di riduzione dello spazio di dissenso. Ve l’ho detto e ve lo ripeto: per sopravvivere, il sistema deve far accadere cose di ogni genere. E lo farà.