Che facciano parte di flotte di car-sharing; che siano a guida umana o – chissà, un domani – automatica; che siano in noleggio a lungo termine o in proprietà tradizionale, un’unica certezza è, a tutt’oggi, fuori discussione: le automobili, per quanto cariche di recentissime e nuovissime mirabolanti invenzioni, dovranno per chissà quanti decenni ancora la loro ragion d’essere (la loro stessa vita come prodotti di uso collettivo e quotidiano) alla più antica invenzione dell’uomo: la ruota.
C’è questa piccola e stupida verità dietro il successo mietuto dalla Pirelli sui mercati finanziari, con il ritorno in Borsa che verrà celebrato ufficialmente domani, ma si è già concretizzato ieri sera, con la chiusura del collocamento sul mercato delle azioni che, cedute dai cinesi di Chem China dopo l’Opa, sono andate a ricostituire il flottante. Già: perché le ruote sono indispensabili alle auto, di qualunque futuribile natura tecnologiche esse siano; e alle ruote sono indispensabili i pneumatici, meglio se di gamma alta e altissima, o meglio ancora di gamma speciale, proprio come quelle che costituiscono la vocazione lungimirante della Pirelli, individuata in tempi non sospetti da Marco Tronchetti Provera, destinato a restare fino al 2020 indiscusso leader gestionale del gruppo che ha pilotato nel porto sicuro di una proprietà globale e ricchissima.
A dirlo non è qualche analista finanziario nostrano più o meno simpatizzante della Casa della Bicocca, ma la severissima e lontana newsletter economico-finanziaria americana Finimize. Vediamo i dati. L’Ipo di Pirelli è andata benissimo, tanto da trasformarsi nella più ricca Ipo europea dell’anno: la domanda complessiva è stata pari a oltre 824 milioni di azioni, pari a circa 2,35 volte il quantitativo massimo oggetto dell’Offerta di Vendita o a circa 2,1 volte includendo in esso le azioni ordinarie Pirelli oggetto dell’Opzione Greenshoe (che al momento in cui scriviamo non si sa ancora se sarà effettuata, ma si suppone di sì). Il ricavato è stato dunque di 2,2 miliardi e 75 milioni di euro, che con la Greenshoe saliranno a 2,6 miliardi.
“I pneumatici premium Pirelli sono utilizzati per le corse di Formula Uno e per le marche di automobili di lusso come Ferrari e Lamborghini”, annota Finimize: “Particolare importante, ChemChina ha separato le attività Pirelli meno redditizie dei pneumatici industriali e le ha sinergizzate con la propria attività cinese. Ora, Pirelli è e sarà sempre più lasciata in grado di concentrarsi quasi esclusivamente sulla produzione di pneumatici di lusso”.
La costruzione e la commercializzazione di pneumatici è un’operazione molto più redditizia: per esempio, la tedesca Continental è una conglomerata automobilistica la cui divisione di pneumatici è più di due volte più redditizia degli altri rami del suo business (sistemi di freni ed elettronica d’interni). Dunque Pirelli ha offerto agli investitori un investimento diretto nell’industria delle gomme che, come abbiamo visto, appare oggi decisamente “protetta” dagli incerti dell’innovazione sul restante prodotto-auto. Vi pare poco?