A questo punto il finanziamento pubblico ai partiti decade, nel giro piuttosto “complicato” di un quadriennio. A quanto sembra. Il Consiglio dei ministri decide di ritornare più o meno all’inizio degli anni Settanta, quando non era previsto un finanziamento pubblico e quando, in clima di “guerra fredda”, ognuno trovava i propri “alimenti” o nella steppa sovietica oppure nelle praterie americane. Ma ci furono anche scandali, persino sulle banane oltre che sul petrolio, che indussero lo Stato a intervenire e a stabilire bilanci pubblici, anche se ratificati piuttosto approssimativamente, con sussidi pubblici ai partiti. Quel passaggio doveva garantire un affrancamento sostanziale delle forze politiche dai “grandi poteri”, dalle lobbies, dagli interessi interni o esteri e via cantando. Il risultato di tutto questo l’abbiamo visto all’inizio degli anni Novanta. Poi c’è stato il marchingegno di sostituire il finanziamento con il rimborso, ma il risultato non è cambiato.
Per un liberale come il professor Ugo Arrigo, docente di Scienza delle Finanze all’Università Statale “Bicocca” di Milano, il finanziamento pubblico non ha alcuna logica, ragione e giustificazione.
Per quale ragione, professore?
I partiti sono associazioni tra i cittadini che perseguono alcuni scopi e obiettivi e quindi sono i cittadini che se li devono pagare. Che cosa c’entra lo Stato? Sto guardando il comunicato del Consiglio dei ministri, occorrerà vedere bene il testo definitivo, ma la mia sensazione è che più che togliere il finanziamento pubblico, si dica solamente che lo si farà. La prima impressione mi pare una decisione pasticciata con molti interrogativi e conseguenze imprevedibili.
Quali ad esempio?
Mi scusi se ricordo che in questo momento la politica e i partiti non godono di una grande popolarità. Quindi mi chiedo chi tra i cittadini italiani correrà a sottoscrivere una quota, una donazione per un partito. Poi mi interrogo sulla trasparenza che viene prevista in questo modo, almeno da quanto leggo: per ottenere i contributi volontari, i partiti politici dovranno organizzarsi secondo requisiti minimi idonei a garantire la democrazia interna. Posso chiedere chi stabilisce tutto questo?
Tutti dicono che la democrazia e i partiti hanno un costo.
Ma allora perché non stabilire degli spazi di comunicazione per questi partiti? Agevolarli nella diffusione delle loro idee e dei loro programmi, ad esempio. Tutto questo avrebbe un senso e un significato ben diverso dalla creazione, ad esempio, di un giornale sovvenzionato dallo Stato che poi non legge nessuno. Ma poi ci sono altre implicazioni da valutare.
Ne indichi qualcuna, professore.
Mi chiedo anche perché si possano finanziare i partiti privatamente e non alcune associazioni di carattere culturale, ad esempio. Qui ci vorrebbero delle distinzioni precise, soprattutto in relazione alle detrazioni fiscali che sono elencate in questo provvedimento.
Le agevolazioni fiscali sono indubbiamente di notevole portata. Le erogazioni liberali in denaro, effettuate dalle persone fisiche in favore dei partiti politici, avranno dall’imposta lorda una detrazione pari al 52% per importi compresi tra 50mila e 5mila euro annui, pari al 26% per importi tra i 5001 e i 20mila euro.
Mi sembra che si creino delle sperequazioni incredibili. Se io come privato cittadino finanzio e sostengo un asilo nido, un ente non-profit, raggiungo una detrazione del 19%, se invece finanzio un partito arrivo al 52%. Le sembra un rapporto congruo tra le due detrazioni? Alla fine, almeno da quanto si vede da queste prime notizie e dal comunicato del Consiglio dei ministri, si può dire che il fisco finanzia i cittadini affinché i cittadini finanzino successivamente i partiti. La mia impressione è che tutto questo giro non risolva il problema di fondo e alla fine, tra incognite, imprevedibilità e una forma pasticciata, alla fine cambierà ben poco o nulla.
(Gianluigi Da Rold)