C’è grande attesa sui mercati per gli esiti della seconda operazione straordinaria Ltro (Long term refinancing operation) della Banca centrale europea che verranno comunicati oggi. L’Eurotower offrirà quindi liquidità alle banche europee a un tasso dell’1% per tre anni. La prima tranche di dicembre si era conclusa con erogazioni di liquidità per 489,2 miliardi di euro, delle quali hanno beneficiato 523 banche europee. Allora l’operazione fu salutata con entusiasmo e fu ritenuta una svolta importante e fondamentale. Marco Fortis, economista e vicepresidente della Fondazione Edison, ci spiega che in effetti «se non ci fossero stati quei prestiti della Bce non so come sarebbe andato l’inverno per l’Italia e la Spagna. Non so se sarebbero bastate le iniziative prese dal governo Monti o l’annuncio della costituzione del Fondo salva-Stati, di cui ancora non si sa bene quale sarà l’entità».
Non trova che questa operazione che porterà un’altra grande iniezione di liquidità sia in contraddizione con la linea di rigore perseguita dall’Europa, che chiede per esempio alla Spagna di portare in un anno il suo rapporto deficit/Pil dall’8% al 4,4%?
A parte il caso greco, ritengo che sia giusto proseguire sulla strada del rigore, e in certi casi anche doveroso. Alla Spagna è stato comunque chiesto di rientrare stando ancora sopra il vecchio limite del 3% del rapporto deficit/Pil, mentre l’Italia si è impegnata in un obiettivo ancor più importante: il pareggio di bilancio. Anche la Francia dovrà comunque mettere a posto i suoi conti. Il fatto che la liquidità immessa nel sistema bancario dalla Bce venga investita anche in titoli di stato, portando così un po’ di sollievo alla crisi dei debiti sovrani, non lo trovo incompatibile con la richiesta di rigore sui conti pubblici. Anzi.
In che senso?
Se un Paese riesce a dare dimostrazione che intende perseguire il rientro dei conti pubblici in maniera seria, come sta facendo l’Italia, può conquistare quella necessaria fiducia che porterà gli investitori, in primo luogo le banche, a investire su di lui. Certo, questa non è la politica ottimale che si potrebbe pensare a tavolino, ma si tratta di una mossa che, in un’area del mondo particolare come l’Europa – dove non c’è un governo unico e dove le soluzioni trovate sembrano essere sopportate, più che condivise, dai paesi leader -, aiuta gli Stati in difficoltà.
L’ex ministro Giulio Tremonti ha detto ieri che è una follia regalare i soldi alle banche come sta facendo la Bce.
Se nessuno avesse salvato le banche sarebbe giusto che la Bce non “regalasse” loro dei soldi. Dato che però siamo in un mondo asimmetrico, dove americani, inglesi e giapponesi sono intervenuti con il quantitative easing, e gli europei sono gli unici rimasti con il cerino in mano, credo che la mossa di Draghi, accompagnata anche dal rigore necessario a mettere in ordine i deficit (prima ancora che i debiti) degli Stati, sia necessaria.
In molti hanno però segnalato che la liquidità immessa nel sistema non arriva poi nel circuito dell’economia reale, attraverso il credito alle imprese e alle famiglie.
È chiaro che come studioso di economia reale, vicino al mondo delle imprese, non posso non guardare con occhio negativo e critico alla seconda ondata di credit crunch che sembra aver colpito il Paese dopo quella del 2009. Allora fu un fenomeno nato per i timori reciproci delle banche e l’incertezza. Questa volta mi sembra che siano le richieste dell’Eba sulla patrimonializzazione delle banche e i timori di una recessione a far sì che non affluiscano alle imprese i dovuti capitali. Tuttavia, dobbiamo anche pensare che le banche, utilizzando in questo momento i prestiti della Bce per sostenere i titoli di stato, stanno evitando qualcosa di ben più grave del credit crunch.
Che cosa?
Il fallimento del debito pubblico, a cui siamo andati molto vicini. Forse non abbiamo realizzato che il vero motivo per cui lo spread è sceso a partire da dicembre è stata la prima tranche dell’operazione Ltro, che ha riportato gli investitori sul mercato dei titoli di stato. Ora, non c’è dubbio che la situazione sia critica sul fronte del flusso di credito a imprese e famiglie, ma pensare che gli investimenti delle banche sui titoli di stato siano solo un modo con cui esse stanno facendo i loro interessi e migliorando i propri bilanci è una visione parziale. Infatti, così facendo, pur egoisticamente, le banche stanno supportando una situazione dei conti pubblici che aveva rischiato di diventare esplosiva. Quindi si tratta di vedere anche il bicchiere mezzo pieno e non solo quello mezzo vuoto.
Pensa che questa seconda iniezione di liquidità possa far scendere ancora lo spread?
È chiaro che più si inietta liquidità, più c’è questa possibilità. E più lo spread scende, più diminuisce da parte delle banche quel timore che le porta a essere più chiuse nei confronti del credito. Quindi, più la situazione migliora, più si può allentare anche il credit crunch, perché con una maggior fiducia sui conti pubblici ci sarebbe anche una minore preoccupazione sui valori patrimoniali degli investimenti delle stesse banche, dato che esse piene di titoli di stato italiani. Una cosa può quindi tirare l’altra: se le banche investono di nuovo in titoli di stato e questi sono ritenuti sempre più sicuri e ritornano a essere una buona fonte di reddito, credo che a quel punto potrebbe esserci un miglioramento nell’afflusso del credito.
Ieri su queste pagine abbiamo segnalato come alcune finanziarie appartenenti a grandi imprese abbiano chiesto di partecipare all’asta della Bce al pari delle banche. Come giudica questo fatto?
Non conosco tutti i dettagli e non vorrei dare giudizi avventati. Istintivamente mi viene però da pensare che se alcune finanziarie che fanno capo a multinazionali con vocazione industriale riescono a reperire dei fondi a basso tasso di interesse, si viene a creare un’asimmetria non positiva sul mercato dei capitali industriali. Alcune imprese, infatti, sarebbero favorite rispetto ad altre, come le Pmi, che devono invece fare i conti con il problema del credito.
(Lorenzo Torrisi)