Doveva essere un agosto di fuoco. L’euro doveva frantumarsi. Il contagio era alle porte. Il fantomatico spread continuava a salire e se scendeva era solo per riprendere il fiato sulle montagne russe. L’austerità iniziava a divenire senso comune. Si guardavano le spiagge semivuote e si scuoteva la testa dicendo: ecco l’annuncio dell’uragano. Nulla di tutto questo è avvenuto. O meglio, qualcosa è certo avvenuto, ma di diverso: la divaricazione crescente tra la tenuta dell’euro – nonostante i gravami immensi che si scoprono sotto i tappeti delle banche locali spagnole (a nulla è valsa l’opera di consolidamento, di unificazione che altro non ha fatto che aumentare il rischio di insolvenza anziché disperderlo…) e quelle che vi sono sotto quelli delle banche locali tedesche -, da un lato, e la caduta verticale della produzione industriale che si è vieppiù accentuata, dall’altro. L’austerità inizia a dare i suoi malefici frutti, esaltati nei loro disastri da una congiuntura internazionale che diventa tragica.
I paesi emergenti crescono, sì, ma sempre meno, anche quelli che parevano invincibili, Brasile in testa; dell’India non parliamone, colpita da un blocco delle forniture elettriche che ha investito seicento milioni di persone per via delle inefficienze, delle malversazioni, delle arretratezze di un sistema energetico e politico frammentato e obsoleto. La Cina è sull’orlo della crisi di indebitamento bancario più grande del mondo per eccesso di immobilizzi, con un partito diviso in una lotta senza quartiere. La Russia è in affanno. Solo alcuni paesi periferici dell’economia mondiale continuano a dare buone performance, dalla Polonia al Messico.
In Italia sono guai. L’Istat fa scoprire a tutti che in dieci anni circa abbiamo perso un milione e mezzo di occupati tra i giovani dai 15 ai 35 anni (la gioventù coincide ormai con una lunga adolescenza), nonostante tutte le liberalizzazioni del mercato del lavoro. Non facciamo del resto che seguire il rovinoso esempio spagnolo. E i dolori sono appena iniziati. Vorrei che il ministro Grilli e il senatore a vita Monti guardassero fuori d’Italia non in viaggio diplomatico: si veda il Portogallo (per carità economia molto più debole della nostra…) dove l’aumento delle tasse, l’austerità, i tagli e i controtagli hanno provocato una diminuizione delle entrate fiscali quale mai si ricorda nella storia economica di quel bellissimo e sfortunato paese. La stessa cosa capiterà in Italia.
Cosa sta succedendo, dunque? Pensate di volare in aereo (è una metafora che ho già usato) e guardate giù; se vi sono nuvole vedete solo quelle e quelle nuvole altro non solo che la circolazione monetaria simbolica ad altissimo rischio che ci affligge e ci porta alla catastrofe finanziaria sempre annunciata ma sempre evitata o rimandata. Sotto le nuvole c’è la terra e di quella parleremo dopo. Resta il fatto che le nuvole non si sono trasformate in uragano. Come mai? La ragione è strategico-politica. Gli Usa non possono permettere a nessuno, neppure alla signora Merkel che pensa solo ai voti della bassa Baviera e dintorni, di distruggere l’economia italiana. Possono permettere di indebolirla (anni novanta), ma non di distruggerla come potrebbe fare questo governo se fosse lasciato libero di operare in sintonia con la Germania provocando la più grande deflazione dopo il 1929, distruggendo di fatto una potente-ancora-base manifatturiera come la nostra.
Di qui l’azione di Draghi con i suoi machiavellismi diretti a superare le resistenze tedesche. Il presidente della Bundesbank minaccia ora e sempre di dimettersi. Ma l’altro componente tedesco della Bce non lo segue e appoggia la via unconventional di Bernanke al quale Draghi fa eco, diligentemente. Gli stessi fondi d’investimento nord americani hanno ripreso ad acquistare euro in varia forma, per sostenere l’ eurozona. La sua crisi porterebbe il mondo al disastro.
La business community può appoggiare Romney, ma fino a un certo punto (lo sa condizionare per benino, del resto) e non è d’ accordo con quella parola d’ordine pazzesca del candidato repubblicano: “Obama si occupa del mondo, io delle vostre famiglie”. E’ una pazzia che ci fa addirittura rimpiangere i nostri politici e dobbiamo tutti tremare se simili personaggi salissero mai sulla tolda della nave che domina ancora il mondo. E’ vero: Obama partecipera il 7 e l’8 settembre a Vladivostock al Forum economico della regione Asia-Pacifico. E la questione è dimensionalmente molto più importante dell’ Europa, vista la nuova strategia post-kissingeriana di accerchiamento e isolamento della Cina che ora gli Usa perseguono. L’area ha ben 3,5 miliardi di abitanti, ma l’Europa rimane il continente con il più grande Pil su scala mondiale: quindi gli Usa non possono abbandonarla a un destino tedesco, ossia al suicidio.
Del resto ci sono stati evidenti segni, messaggi cifrati eloquenti, a questo riguardo anche sulla stampa italiana. Non si pubblicano a caso vecchie interviste di un ambasciatore deceduto (Bartholomew) che tira in ballo il console di Milano “filo-di-pietrista” ai tempi di Tangentopoli – sempre nord americano – per sottolineare che gli Usa seguono sempre gli affari italiani. Lo facevano anche durante Mani Pulite. Capito? Non è necessario leggere Ghraam Green e Le Carrè per capirlo. Quindi la finanza deve essere riformata in qualche modo: il debito pubblico deve essere affrontato secondo modelli neo keynesiani del tipo Fed.
Il problema rimane l’industria. Ossia la terra sotto le nuvole. Non si vede sino a quando si atterra, ma esiste, eccome. Chiedetelo agli artigiani, ai lavoratori, agli imprenditori. Dal governo soffia un vento di dinteresse salvo che per quel che riguarda le privatizzazioni (l’1,5% del Pil, si noti bene…). Anche qui è difficile sottovalutare l’impatto diplomatico, per esempio, che la cessione di Ansaldo Energia alla Siemens potrebbe avere nei confronti degli Usa. Quindi, niente uragani, per ora. Continua la schermaglia diplomatica sullo sfondo di un governo di ideologici sostenitori di un principio di austerità che sta uccidendo l’industria. Qualche spiraglio viene da Via Veneto 33, con Passera che da segni di vita nella giusta direzione. Ma bisogna muoversi: fare una politica industriale diversa dal passato, su cui abbiano già parlato e che sarebbe stucchevole riprendere qui.
In questo senso questa settimana sarà cruciale, con la riunione della Bce. E quella prossima vedrà la decisone della Corte costituzionale tedesca proprio sulla politica monetaria della Bce. Bisognerà vedere se si sfonderanno le linee tedesche o le truppe deflazionistiche resisteranno come i giapponesi alla fine della seconda guerra mondiale.