A conclusione di una settimana da incorniciare per i mercati che hanno festeggiato la vittoria di Macron al primo turno delle elezioni francesi, la domanda inevitabile per gli investitori è se davvero la partita sia già chiusa; questo scrupolo diventa una domanda obbligatoria proprio perché il mercato è stato così deciso nello sposare un certo scenario. Il rischio è quello di farsi trovare completamente impreparati anche solo se i sondaggi cominciassero a mostrare un’erosione del vantaggio di Macron su Marine Le Pen. Il differenziale di rendimento tra il bond a due anni francese e quello tedesco, seppur dimezzato dopo il primo turno, è ancora sensibilmente superiore ai livelli “normali”; altri indicatori mostrano come il mercato non consideri già chiusa la partita.
È difficile tradurre in parole l’esposizione degli investitori, ma potremmo dire che la vittoria al primo turno ha confermato il vantaggio di Macron e lo scenario di uno scontro tra “populisti” e l’attuale establishment europeo, che però non si traduce in una certezza; le forze anti-euro in un Paese che non ha vissuto neanche lontanamente la crisi italiana e quella greca non sono al 20% ma al 40% e includono di diritto anche Melenchon che ha rifiutato l’appoggio a Macron. In uno scontro tra due opzioni la scelta non può essere casuale.
Immaginiamo che gli investitori abbiano sotto mano la differenza tra sondaggi e risultati al referendum inglese, nelle elezioni del presidente americano e poi nel referendum italiano. In tutti e tre i casi i sondaggi hanno sbagliato di almeno il 5%; escludendo la malafede, l’unica conclusione possibile è che i sondaggi non riescano a “catturare” il voto di “protesta” o che siano inadeguati rispetto alla situazione sociale e politica attuale. Il leave era dato al 45-46% e ha vinto con il 52%, Trump ottenuto il 46% del voto popolare ed era dato al 42% e il no al referendum costituzionale italiano ha vinto con il 59% con sondaggi fermi al 53%. Se oggi assumessimo sondaggi sbagliati nella stessa misura dovremmo pensare che la realtà non sia un secondo turno con Macron al 60% e Marine Le Pen al 40%, ma probabilmente una situazione da 55-45. Una distanza abbastanza grande per essere molto ottimisti, ma non così grande per essere certi.
Queste sono con ogni probabilità le considerazioni dei mercati che hanno imparato che non solo non bisogna fidarsi dei sondaggi, ma che possono sbagliare di molto. Nessuno crede che in questi sei mesi i sondaggisti siano improvvisamente diventati bravissimi oppure che quelli francesi siano molto più bravi di quelli italiani, inglesi o americani. Il secondo turno francese si avvicina nelle dinamiche alle elezioni degli ultimi dodici mesi con due opzioni chiarissime e una divisione tra “establishment” e “rottura”. È il primo turno a essere poco rappresentativo.
Se nei prossimi giorni i sondaggi dovessero evidenziare un recupero di Marine Le Pen, oggi inchiodata al 40%, una partita che sembrava chiusa rischierebbe di riaprirsi consegnando uno scenario in cui il margine di sicurezza è in realtà molto meno netto e in cui la campagna elettorale degli ultimi giorni può fare la differenza. La prova di questa visione sta nella prudenza con cui i mercati aspettano a far rientrare il premio di rendimento delle obbligazioni francesi; non sono tifosi del Front National, ma semplicemente applicano il buon senso delle esperienze degli ultimi dodici mesi per il solito obiettivo di massimizzare i profitti. È il buon senso di chi non fa finta di non vedere che in un Paese come la Francia le forze anti-euro sono al 40%; non proprio un grandissimo segnale di salute, soprattutto se l’Europa continua a fare quello che ha fatto negli ultimi dieci anni diventando l’area a minor crescita mondiale.