Il Consiglio europeo di sabato 29 aprile 2017 rimarrà alla storia. Doveva essere un’assemblea di tutti i capi di stato aderenti all’Ue per discutere della Brexit, ovvero del ritorno alla situazione del rapporto tra gli stati nel continente simile a quella che esisteva prima della seconda metà degli anni Settanta, quando il Regno Unito, a circa venti anni di distanza dalla creazione del Mercato unico europeo, decise di farne parte pur con quella specificità e diffidenza che la condusse poi a non lasciare la sterlina per l’euro.
Il Regno Unito è una civilizzazione giuridica e politica ben specifica: è retto dal sistema della common law piuttosto che dal codice napoleonico e da ciò che da esso ne deriva, ha un passato e ancora un presente imperiale che hanno fatto sì che con la sua lingua e con il suo sistema legale abbia potuto incarnare i presupposti stessi della globalizzazione inveratasi a partire dal decennio Ottanta del Novecento, influenzando profondamente il continente europeo, pur non facendovi mai parte. Il possesso dell’arma nucleare e l’adesione alla Nato candida il Regno Unito – a differenza della Francia che ha l’atomica, ma non quello spirito anti-sovranista che invece non appartiene al Regno Unito – a essere una grande potenza globale. Insomma, il fatto che una tale civilizzazione, a un certo punto della sua storia politica e civile abbia detto no all’Ue avrebbe meritato una riflessione approfondita e una sorta di esame di coscienza da parte dei primi Ministri riuniti in assemblea.
Un tempo occasioni siffatte davano vita a formidabili oratorie, a sfoggi di eloquenza e contribuivano di per se stesse a fare la storia, erano occasioni formative, divulgative: i giovani si formavano su ciò che avveniva in occasioni simili, e lo stesso nostro culto degli Antichi, che ha formato intere e intere generazioni, nasce nel confronto tra le visioni politiche personali e i grandi drammi della storia. Sì, perché la Brexit è stata ed è un dramma storico. Un dramma storico che ha per protagonisti, da un lato la cosiddetta anglosfera, ossia i popoli e le istituzioni storicamente anglosassoni, che sono retti dalla common law e, grazie alla sapienza intellettuale di Edmund Burke, sono vaccinati contro lo spirito di dittatura. Dall’altro lato si intravede, invece, un palcoscenico dove si parlano confuse lingue da parte di personaggi che, se vogliono farsi intendere tra di loro, devono parlare la lingua dell’anglosfera, ma pur tuttavia essi si stupiscono che i loro maestri di dizione dal palcoscenico siano discesi e se ne siano andati.
E son talmente confusi che, come ho già detto, al posto di dar vita a grandi discorsi che educano i popoli, si son caratterizzati, nel corso di quel Consiglio storico, per trasformare il dramma storico in una commedia dei, come si diceva una volta, “conti della serva”, del “dare e dell’avere”, del “dovete pagare e subito”, “non illudetevi di non pagare” e altri grandi discorsi di tal fatta. È stato un susseguirsi di riflessioni sulla partita doppia. E, come mi ha fatto osservare Ludovico Festa, un cantico del dare e dell’avere che ha avuto un’intonazione in primis nel parlamento tedesco. Infatti, il Bundestag è stato l’unico parlamento europeo in cui si sia dedicata una riflessione alla Brexit medesima. Tutti gli altri parlamenti non se ne sono occupati. Tanto per continuare, rimpiangendo gli Antichi e ritrovando in essi quelle metafore che illuminano il presente, un po’ come accadeva nel senato imperiale romano, che, infatti, dell’impero decideva le sorti, lasciando ai centurioni dell’impero il compito soltanto di applicare quelle decisioni.
Se ci si pensa bene, accade anche oggi per tutte le istituzioni europee, a cominciare dalla Corte Suprema che in effetti è la corte tedesca di Karlsruhe. La Bce, come è noto è una terra franca, una sorta di terra di nessuno dove si confrontano tedeschi e nordamericani, grazie all’abilità machiavellica di un classico illuminato dell’anglosfera che lotta nelle foreste tacitiane della Germania, ossia il nostro Mario Draghi. Il tutto è finito, per citare l’amatissimo T. S. Eliot, non con un big bang, ma con uno sbadiglio teutonico. Una storia di sbadigli.