Un Berlusconi prostrato, quello arrivato al pronto soccorso del New York-Presbyterian Hospital. Accompagnato dal fedele dottor Zangrillo, ha fatto ingresso nella lobby del lussuoso nosocomio di Manhattan che ha corrisposto cure e discrezione a molti vip, dai coniugi Clinton ai monarchi sauditi.
Personale di prim’ordine e — dicono — infermiere mozzafiato. Magari da invitare a cena. Cene eleganti, of course. E proprio quelle cene sono, si mormora, l’eterno cruccio del Cavaliere. Ieri cominciavano le udienze del Ruby-ter.
Molti e non per forza nemici, quelli convinti che il viaggio nella Grande Mela sia in realtà una ritirata strategica con un duplice obiettivo.
Il primo prontamente raggiunto. Posizione processuale stralciata e prima udienza rinviata al 12 dicembre. Ma soprattutto, da New York rimbalza sul sito del quotidiano La Stampa, che essendo di Marchionne sa di cose americane, la notizia che i severissimi Doctor House di oltreoceano hanno proibito seduta stante a Silvio Berlusconi ogni impegno referendario… per il No. Proprio così. Appena guardato, diagnosi certa. Silvio guarisce se non dice No. Anzi se non dice proprio.
Panico in patria. Meloni e Salvini si guardano allibiti pensando dubbiosi al No deciso di soli due giorni prima. Stefano Parisi si interroga sulla vera natura della mission che gli è stata affidata.
Ai medici americani sono arrivate vibranti proteste di due newyorkesi d’eccezione: Hillary Clinton e Donald Trump. Ma come, a trenta giorni dalle elezioni americane vi trasformate in… spin doctors del referendum italiano? A Palazzo Chigi è arrivata una telefonata di Verdini per Matteo. I due ridono. Poi uno urla soddisfatto: “Te la do io l’America!”