“Il quesito? E’ quello che prevede la legge”. E’ questa la risposta di Renzi, al termine della giornata di ieri, ai nuovi ricorrenti contro il quesito del referendum costituzionale. Non solo: il capo del governo ha avuto buon gioco nel sottolineare il lato più imbarazzante della vicenda, e cioè che due dei firmatari del ricorso presentato al Tar del Lazio contro il quesito referendario, vale a dire Vito Crimi per M5s e Loredana De Petris per Sinistra Italiana, fanno ricorso contro se stessi, perché figurano tra i delegati dei 103 senatori che hanno sottoscritto la proposta di referendum presentata in Cassazione il 26 aprile scorso. Il ricorso depositato ieri ha le firme degli avvocati Enzo Palumbo e Giuseppe Bozzi (attuali difensori dei ricorrenti di Messina dinanzi alla Consulta nel giudizio per l’incostituzionalità dell’Italicum), nella loro qualità di elettori e di esponenti del Comitato Liberali per il No e del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, e dei senatori Crimi e De Petris. Un altro aspetto curioso della vicenda è che i ricorrenti hanno attribuito al Quirinale la formulazione del quesito. Una tesi peregrina che la presidenza della Repubblica ha subito rigettato, facendo osservare che il quesito che comparirà sulla scheda il 4 dicembre è stato ammesso dall’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione.
La parola passa ora alla giustizia amministrativa. Sul tappeto resta comunque un quesito che ha sollevato obiezioni a tutto campo e sul quale pendono altri ricorsi che Renzi farebbe bene a non snobbare. Il perché lo ha spiegato nella tarda serata di ieri lo stesso avvocato Palumbo. “Non si dica che la legge impone di ricopiare il titolo della legge approvata dal parlamento: in passato si è fatto così ma solo perché si trattava di formulazioni neutre basate sui titoli e dunque l’indicazione dell’articolo era superflua. In uno stato di diritto — ha concluso Palumbo — i comportamenti delle istituzioni non sono regolati dalle persone che ricoprono quel ruolo, ma dalla legge”.
Le parole di Palumbo vanno interpretate. Davvero la Cassazione si è limitata a fare il copia-incolla del titolo della legge di riforma? Se questo fosse il suo compito, non ci sarebbe bisogno di un articolo di legge (il 16 della legge 352 del 1970) che indica ai giudici della Cassazione in base a quali criteri si deve redarre il quesito, cioè specificando quali sono gli articoli oggetto di referendum. Cosa che sulla scheda elettorale formato Renzi-Boschi non accade.
Ma non è questa l’unica incognita che grava sul quesito. A spiegare il resto ci pensa Giuseppe Gargani, prima democristiano di area demitiana, poi in Forza Italia come europarlamentare e infine fondatore del movimento politico EuropaSud. Oggi Gargani è presidente del Comitato Popolare per il No.
Gargani, lei ha presentato una memoria che la Cassazione non ha accolto.
“Sono l’unico che ha eccepito in Cassazione sulla bontà del quesito, che dev’essere univoco, conoscibile e unitario. In questo referendum invece abbiamo a che fare con una molteplicità di quesiti raggruppati e l’elettore che volesse votarne solo una parte è invece costretto a dire sì o no a tutto quanto. Cosa c’entra l’abolizione del Cnel con la riforma del bicameralismo paritario?”
Allora che cosa ha fatto?
“Il 6 maggio scorso ho presentato in Cassazione un’istanza per contestare il quesito del referendum. Mi sono mosso non come presidente del Comitato Popolare per il No, ma come cittadino iscritto nelle liste elettorali. La Cassazione mi ha risposto che sono arrivato in ritardo”.
In ritardo? Il quesito è stato presentato il 26 aprile dal quinto dei deputati previsto dalla legge. La Cassazione ha 30 giorni per valutarlo e dichiararlo ammissibile.
“Io le dico quello che è accaduto, poi chi legge farà le sue valutazioni. La Cassazione aveva 30 giorni per pronunciarsi, poiché io ritenevo di avere gli stessi 30 giorni, ho presentato il mio ricorso il 6 maggio. Sa cosa mi hanno risposto? Che avevano deciso venti minuti prima che arrivassi io. Mi pare una cosa stravagante, mi passi questo termine”.
Una bella coincidenza… Quindi?
“Ho fatto ricorso al giudice ordinario. Il 7 novembre c’è l’udienza al Tribunale di Roma”.
Lei che cosa si attende?
“Il giudice di buon senso non può che rimettere tutto alla Corte costituzionale. Ho fiducia nella giustizia”.
Ma c’è un altro ricorso che pende sul quesito referendario. E l’udienza è prevista per oggi al Tribunale di Milano, prima sezione civile. “Io domani (oggi, ndr) non chiederò di annullare il decreto di Mattarella di indizione del referendum, né andrò contro l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum” dice al sussidiario l’avvocato Claudio Tani. “La disomogeneità e la varietà del contenuto della legge costituzionale non consentono al cittadino di esercitare liberamente il proprio diritto di voto” aveva già detto Tani a questo giornale nel luglio scorso.
Qual è il punto, avvocato?
“Ripeto, il merito della legge di riforma ora non interessa. La vera questione è la compressione del mio diritto di voto. I quesiti referendari a scelta multipla sono vietati. Votare con un semplice sì o un semplice no un quesito così complesso e differenziato al suo interno è violare la libertà di scelta dell’elettore”.
Insomma cosa dovrà stabilire il giudice che esamina la sua citazione?
“Dovrà accertare il diritto di voto, che prescinde da una valutazione del contenuto della riforma. Il referendum costituzionale fa del popolo la terza camera: finché non si fa il referendum la legge in questione non esiste. Ma il popolo deve avere la stessa consapevolezza e la stessa possibilità di articolare il giudizio che hanno avuto i componenti della altre due camere”.
Se il Tribunale di Milano rimette la questione alla Corte costituzionale?
“A quel punto spetta alla sensibilità politica di governo e parlamento decidere se, a fronte della pendenza davanti alla Consulta di una questione di questa portata, conviene o no rinviare il referendum in attesa della decisione della Corte. Votando comunque sarebbe compromesso non più solo il diritto di Claudio Tani, ma quello di tutti”.
Qualcuno o qualcosa imporrebbe il rinvio del referendum?
“No. La materia riguarderebbe esclusivamente Renzi e Mattarella, il primo che ha stabilito la data e il secondo che sulla base della proposta del Consiglio dei ministri ha emesso il decreto di indizione per il 4 dicembre. Ma sarebbe una decisione politica. E di che portata”.
(Federico Ferraù)