“Il Consiglio supporta gli obiettivi indicati dalla presidenza italiana di sostenere la crescita e l’occupazione, in uno sforzo comune di riforma e concorda nel fare il miglior uso della flessibilità che è già inclusa nel Patto di Stabilità e crescita”. È la sintesi del documento finale dell’Ecofin di Bruxelles, all’insegna di quella “flessibilità” caldeggiata in modo particolare dal nostro ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Apparentemente una vittoria dell’Italia, che aveva chiesto di scorporare gli investimenti per l’innovazione dalle spese calcolate nel Patto di stabilità e crescita. Se non fosse che Siim Kallas, vicepresidente della Commissione, ha subito detto di no: “Nessuna spesa può essere esclusa dal calcolo del deficit: non esistono spese buone o spese cattive”. Ne abbiamo parlato con Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino.
Professor Deaglio, come valuta i risultati dell’Ecofin?
È un pareggio. Significa che non ha vinto nessuno dei due, non è passata né la linea rigorista, né quella interpretativa flessibile. Ci troviamo in una terra di nessuno in cui è necessario inventarsi qualche cosa.
Concretamente che cosa comporta questo compromesso?
I compromessi di questo genere si costruiscono strada facendo, cioè avendo stabilito che si fa il compromesso poi bisogna attuarlo. Va cioè stabilito che a un certo punto si fanno determinate spese, come vengono contabilizzate, quando sono pagate. Solo a quel punto l’Eurostat farà la somma per dire esattamente come stanno le cose.
Che cosa vuol dire flessibilità?
Flessibilità vuol dire che l’obiettivo del 3% nel rapporto deficit/Pil non deve essere interpretato come qualcosa che vale in ogni momento. È possibile che per alcuni periodi, peraltro brevi e da delimitare, il rapporto possa essere più alto purché la spesa che lo rende più alto sia tale da porre le premesse perché in futuro diventi più basso.
Da un lato Germania e Olanda, dall’altro Spagna e Italia dicono di avere ottenuto quello che volevano all’Ecofin. È un gioco delle parti dettato soprattutto da motivi politici?
Questo è un obiettivo minimo che hanno tutti. Ogni volta che si raggiunge un compromesso ciascuno fa vedere ai suoi le parti che sono per lui più vantaggiose. Per quanto riguarda le modalità in cui questo compromesso sarà effettivamente applicato, molto dipenderà dal modo in cui evolveranno concretamente le cose. Anche i tedeschi cominciano a essere preoccupati per tutta l’economia che si ferma, e quindi sono abbastanza inclini ad avere una certa flessibilità.
A questo punto per l’Italia che cosa cambia e che cosa accadrà?
Non sono un profeta e non ho con me la sfera di cristallo oggi. Continuo però a pensare che il Paese e le famiglie nel loro complesso hanno le risorse per aumentare la domanda interna, basti guardare ai depositi bancari e all’ammontare degli attivi finanziari. Se non ci sono complicazioni gravi a livello internazionale, che invece non si possono proprio escludere, mi aspetterei che alle famiglie lentamente passi la paura, e che quindi incomincino a fare quelle spese che hanno rinviato per molto tempo. Nei primi due anni di crisi le famiglie hanno ridotto i risparmi e mantenuto i consumi. Poi c’è stata la svolta e hanno fatto il contrario, cioè hanno ridotto i consumi e ricostituito i risparmi. Se si vuole che l’economia interna riparta è necessario che spendano un po’ di più.
Servirà una manovra correttiva vista la richiesta di consolidare il bilancio 2014?
Per il momento non ne vedo la necessità, vedremo poi che cosa accadrà quando avremo i risultati del gettito fiscale di luglio. Francamente non credo, in quanto ritengo che il nostro bilancio resterà dentro ai limiti. Tutto dipenderà però dalla crescita, perché se ci fosse l’1% di crescita il rapporto deficit/Pil si ridurrebbe fortemente. Nel momento in cui il meccanismo riparte poi sarà in grado di andare avanti da solo.
(Pietro Vernizzi)