L’irresistibile (così sembrerebbe) ascesa di Matteo Renzi è stata sempre accompagnata dal coro dissonante – ormai parte integrante del stesso suo appeal, come una specie di colonna sonora – dei detrattori. Che ne sarebbe di Matteo senza le voci e i giudizi che lo accompagnano come tante mamme al parco? Privo di contenuti, demagogico, velleitario, egocentrico, incapace di affrontare i veri problemi del paese, e così via. Nel frattempo, Matteo Renzi va avanti e di quando in quando, mi si perdoni l’espressione brutale, asfalta qualche avversario.
L’ultima uscita, sempre che non me ne sia persa qualche altra (il ragazzo corre, non dimentichiamolo), riguarda il problema del lavoro. Non fatemi dire job acts, che mi rimanda a memorie liguri (quanti Giò Batta riposano nei cimiteri di Genova, di Monterosso!). Anche qui, i detrattori cantano e suonano. Le proposte di Renzi in tema di lavoro sono, così dicono, inadeguate. Riduzione del numero di contratti. Aiuto alle imprese. Riforma della burocrazia. Riforma del Sindacato. Aggiungiamo le pensioni, la scuola…
C’è chi ride perché sa già che non verrà fatto nulla di tutto questo. E dipinge Matteo come uno dei tanti venditori di Colossei e di Fontane di Trevi che infestavano i film e l’avanspettacolo del Dopoguerra. Io invece non rido perché mi sembra di capire quello che c’è di serio nella testa di Matteo Renzi; mi sembra di scorgere il mondo come lui lo vede, e mi sembra anche che corrisponda abbastanza bene al mondo reale. Il mondo come lo vede Matteo Renzi – il mondo futuro, intendo, ma a breve, molto a breve – è un mondo più insicuro, dove tutto sarà più incerto e dove la garanzia del lavoro starà più nel coraggio e nell’ingegno degli individui che nelle tutele sindacali. Matteo non nega apertamente l’Art. 18, ma sa una cosa che per troppo tempo abbiamo finto di non sapere, forse in Europa ma sicuramente in Italia. Mi spiego. Noi viviamo in un mondo in cui tutto quello che c’è – città, infrastrutture, servizi, contratti, normative e chi più ne ha più ne metta – è stato concepito per un pianeta di due miliardi di individui.
Stazioni ferroviarie, Palazzi di Giustizia, Municipi, ma anche garanzie sindacali, sistemi pensionistici e probabilmente anche le teorie economiche sono gli stessi di quarant’anni fa. In quarant’anni il pensiero non ha fatto grandi passi avanti: solo qualche aggiustamento. Come le città nel sud del mondo, che sui vecchi atlanti geografici sono accreditate di un milione di abitanti mentre oggi ne contano venti. E il mondo conta non due, ma sette miliardi di individui.
Di questi sette, almeno due e mezzo sono entrati a far parte del mondo serio, quello che conta, solo di recente. Prima la torta non prevedeva per loro nemmeno una fetta, adesso è diverso, adesso deve esserci una fetta anche per loro. Hanno ricchezza, hanno impresa, hanno università, hanno cinema e letteratura anche meglio di noi, e hanno voglia di lavorare.
Renzi rimprovera l’Italia perché si bea dentro la crisi come in una specie di bambagia. Poi richiama le parole di De Rita a introdurre l’ultimo Rapporto Censis. Non sono d’accordo con De Rita, ma l’osservazione riguardante la nostra difficile uscita dalla crisi è giusta: noi non vogliamo uscire dalla crisi perché la crisi appartiene ancora a un vecchio mondo nel quale stavamo bene, mentre sappiamo perfettamente che, una volta usciti, troveremo un mondo diverso, con sette miliardi di persone non esattamente disposte ad aspettare i comodi della nostra burocrazia. O dei dirigenti sindacali.
Questa è l’Italia che Renzi vede, e secondo me vede giusto. E l’Italia lo sa, anche se non le piace. I detrattori dicono che Renzi vuole venderci la luna, e non si accorgono che è vero l’opposto. La ragione per cui vincerà non sta nelle sue promesse, ma nella sua durezza. Che è la stessa durezza del mondo che ci aspetta.