Poche settimane di tensione sui prezzi delle materie prime, incluse quelle agricole, sono state sufficienti per scatenare un forte allarme e far temere il ritorno di una fase di alta volatilità come nel 2008. La fiammata dello scorso anno seguita da un calo ancora più rapido, ha lasciato il segno in un’economia mondiale ancora ammalata. La breve risalita dei prezzi agricoli ha seguito nella sua dinamica quella del petrolio, esaurendosi presto e lasciando il mercato su valori nettamente inferiori ai massimi dello scorso anno, confermando le tesi che sostengono che i prezzi agricoli rimarranno sui livelli ante crisi anche in futuro. L’allarme scongiurato sui prezzi agricoli è un’occasione propizia per tornare sulla crisi agricola affrontata, con grande rilievo, dal vertice dei G8.
Gli osservatori concordano sul fatto che gli alti prezzi agricoli dell’ultimo biennio dipendano da una doppia serie di cause, da un lato quelle generali che hanno mosso tutte le materie prime e, dall’altro, quelle specifiche del settore. Nei tre anni precedenti, la domanda di prodotti agricoli è stata superiore alla quantità offerta ed è cresciuta, in particolare nei paesi in via di sviluppo, per il miglioramento delle condizioni di vita che hanno ridotto, in assoluto e in percentuale, il numero di coloro che sono sottoalimentati. Ma è cresciuta anche di più nei paesi emergenti per l’aumento dei redditi che ha smosso i consumi sia dei prodotti alimentari di base sia di quelli zootecnici che richiedono una maggiore disponibilità di alimenti per il bestiame. Nei paesi sviluppati i consumi sono rimasti di fatto stazionari, anche se su livelli quantitativi e qualitativi molto elevati. Sul versante dell’offerta si constata un rallentamento nei paesi ricchi e un certo incremento negli altri, un equilibrio molto instabile e rotto nell’occasione anche da due annate climaticamente negative. Su tutto, infine, grava l’incognita del reale peso sulla produzione agricola dei consumi per produrre carburanti, una domanda aggiuntiva che rimane, al momento, più potenziale che reale.
Quando su tutto ciò si è abbattuta la tempesta dei prezzi si è avuto un effetto positivo sull’offerta che è subito aumentata grazie al maggiore impiego di concimi, antiparassitari e in genere grazie ai maggiori investimenti, in coincidenza con un’annata climaticamente normale. Il risultato è stato un raccolto record, il più grande di ogni tempo, tale da permettere la ricostituzione degli stocks intaccati negli anni precedenti. Nel 2009, con il crollo dei prezzi, la produzione ha rallentato, anche se si parla per quest’anno del secondo raccolto di sempre.
I prezzi elevati, però, combinandosi con la crisi economica hanno avuto un effetto negativo, riducendo l’accesso al cibo nei paesi poveri. Secondo la Fao, il numero dei sottoalimentati dai precedenti 950 milioni di individui, su una popolazione mondiale di 6,3 miliardi di anime, è salito di circa 80-100 milioni, vanificando, in parte, il miglioramento del decennio precedente. I diversi paesi sono stati travolti da forti proteste popolari e sono corsi ai ripari attivando una serie di misure d’emergenza di genere tipicamente protezionistico, una mossa disperata, ma ricorrente, che ottiene purtroppo il risultato opposto a quello desiderato.
In questo clima si è arrivati al recente vertice dei G8 in cui è stato rinnovato l’impegno a sostenere i paesi poveri nella loro lotta per un’alimentazione adeguata sul piano quantitativo e qualitativo. A L’Aquila sono stati stanziati 20 miliardi di dollari in tre anni. Somme ingenti sono state promesse in passato in molte occasioni, ma non hanno inciso molto sul piano concreto, sia perché talvolta non sono state erogate, sia perché troppo spesso vengono dirottate dalle élites al potere e servono ad arricchirle, a comperare armi, a sostenere guerre interminabili e devastanti.
Questo piano, preparato da Usa e Giappone, compie una scelta chiave: abbandona la logica dell’aiuto che deve rimanere confinata al solo momento dell’emergenza, oltre il quale in realtà è controproducente perché soffoca l’agricoltura locale, e inaugura una strategia che punta all’incremento della produzione per accrescere le disponibilità alimentari. Il concetto vincente è la finalizzazione degli interventi economici alla costruzione di agricolture locali più forti e più produttive, grazie al miglioramento delle tecniche agronomiche, al maggiore impiego dei mezzi tecnici ed all’utilizzo dei risultati della ricerca scientifica, a partire dagli Ogm che possono dare un importante contributo proprio alle agricolture dei paesi più poveri.
La lezione principale della nuova strategia del G8 è questa e merita una riflessione anche nei paesi ricchi. Se teniamo conto che nel 2050 saremo in 9,2 miliardi al mondo e che per soddisfare i prevedibili livelli di consumo la produzione agricola dovrà raddoppiare rispetto ad oggi, non possiamo pensare di rinunciare al progresso tecnico e scientifico. Il ritorno a pratiche agricole superate e condannate dalla storia avrebbe l’effetto di aumentare la fame e di peggiorare la qualità intrinseca degli alimenti. L’alimentazione è la condizione base per la liberazione dell’uomo dal bisogno e dalle costrizioni, il compito della scienza in agricoltura è quello di contribuire a realizzare questo grande obiettivo. Serve una nuova rivoluzione agricola.