La citazione merita il testo integrale: “Pone seram, cohibe, sed quis custodiet ipsos custodes? Cauta est et ab illis incipit uxor”, scrive Giovenale nella sua sesta satira. Cioè “Spranga pure la porta, impediscile di uscire, ma chi sorveglierà i sorveglianti? La moglie è astuta e comincerà da quelli”. Ci risiamo: chi vigila sui vigilanti? Domanda attualissima, se riferita al caso Banca Etruria. Se i vertici di Banca Etruria non hanno commesso il reato di “ostacolo alla vigilanza” bancaria, la medesima vigilanza bancari di Bankitalia, cosa ci stava a fare? Acchiappava farfalle? Cosa vigilava? Dove guardava?
Via Nazionale comprensibilmente si offende moltissimo, da ieri, per il coro di chi pone questa legittimissima domanda. Comprensibilmente si offende perché l’assoluzione dei vertici di Banca Etruria non toglie che la squadra di sceriffi dell’istituto centrale che girano per le banche a perlustrarne periodicamente i conti – proprio per prevenire le crisi che nel caso della banca popolare toscana non è riuscita a prevenire – aveva rilevato una serie di comportamenti scorretti da parte dei capi dell’Etruria e li aveva salatamente multati. Ma è qui il punto. La vigilanza non è servita a niente sul fronte della prevenzione; mentre la sua azioni sul fronte della sanzione, rigorosa ma sterile, ci ricorda un principio banalissimo, cioè che prevenire è meglio che reprimere, ma è tutt’altro mestiere.
Sarebbe però ingeneroso addebitare al funzionamento “limitato” della vigilanza di Bankitalia le colpe del crac. La “culpa in vigilando” c’è sicuramente stata – è un dato oggettivo -, ma non nel senso adombrato da Giovenale. Il grande poeta satirico latino ipotizzava, in quei versi, che la moglie spregiudicata e desiderosa di trasgressione per smarcarsi dalla vigilanza impostale dal marito avrebbe sedotto innanzitutto i suoi vigilanti. Qui nessuno adombra una simile accusa. Quel che nel caso dell’Etruria poco vigilata emerge è la mancanza di anticorpi all’interno del sistema di “governance” delle società in genere e delle banche in particolare, anticorpi in grado di prevenire l’insorgenza del crac.
Seguiamo la metafora. La moglie infedele non ha sedotto i vigilanti, semplicemente gliel’ha fatta sotto il naso. La vigilanza ha intravisto scorrettezze da multa, mentre quelli, dentro la banca, la stavano devastando. Tra scorrettezza e saccheggio ne corre: le dimensioni contano. Ed è allora che, al di là delle polemiche a caldo, è giusto ricordarsi che tra i tanti indignati di oggi contro Bankitalia ci sono schiere di garantisti che in altre occasioni si oppongono e si sono opposti a tutte le norme tendenti a introdurre nel normale governo delle società – non solo delle banche – meccanismi capaci di fungere da anticorpi.
Prendiamo il caso della società editrice del Sole 24 Ore. Quotata in Borsa, controllata dalla Confindustria, avrebbe dovuto essere una casa di vetro e ha perso oltre 200 milioni in pochi anni sul conto economico, è accusata di aver truccato le carte diffusionali, di molte nefandezze, quando ancora sei mesi fa l’ex presidente – un autorevole imprenditore – decantava l’avvenuto risanamento. A ripercorrere la sequela di chiacchiere in rosa sul giornale rosa sembra oggi di ascoltare discorsi da ubriachi.
Com’è stato possibile? Lì non c’era – almeno non fino a un annetto fa – alcuna autorità che dovendo vigilare l’abbia fatto poco o male, mancavano gli anticorpi. Eppure a leggere i documenti dell’Assonime – l’emanazione di Confindustria che presidia gli interessi delle società rispetto ai regolatori – è tutto un’invocare autonomia, mano libera, autoregolamentazione. Quando venne introdotta la legge 231 che prescrive alle grandi società metodi di lavoro e controlli interni preventivi molto stringenti, giù tutti a lamentarsi delle troppe procedure, dei troppi rischi e dell’eccessiva severità. Ma cosa succede a non imporli? È sotto gli occhi di tutti. Quando c’è un capo che comanda, tutti a occhi bassi. Amministratori e sindaci che sonnecchiano, che tirano a campare, funzionari preposti al controllo dei conti che guardano da un’altra parte, l’assenza di un “occhio del padrone” che genera indifferenza, la percezione della sostanziale impunità nel lasciar correr. Se fosse stata una banca, il Sole sarebbe oggi in risoluzione? Forse sì…
Ebbene, è questo il tema – molto complesso, perché non solo giuridico né procedurale – che il sistema capitalistico (occidentale non solo italiano) non ha affrontato in questi anni di post-crisi. La domandona “com’è potuto succedere?” è rimasta senza risposta. Com’è potuto succedere Etruria, come poté succedere Lehman, e prima ancora Parmalat e più recentemente – e, si spera, reversibilmente – Il Sole, perché c’è un sacco di gente che se ne frega, impunemente, e scalda le poltrone, e dicendo sempre sì cura solo il suo vantaggio e il consenso del potere attorno al suo ruolo di palafreniere ossequiente.
Poi arriva un momento in cui interviene una qualche “vigilanza” esterna, sia essa di Bankitalia o della Consob o di una Procura: ma non sempre è in tempo. Vero è che non si parla mai dei crac che quest’interventi, per tardivi che siano, riescono a scongiurare, sia pure in zona Cesarini, proprio perché vengono scongiurati. Ma gli altri che invece non vengono evitati dovrebbero indurre a incrudelire le regole della gestione interna delle società. Più anticorpi, più “opposizione” interna alla governance del capo. C’è troppo “presidenzialismo”, troppo potere incontrastato nelle mani dei capiazienda.