La svalutazione dello yuan, tramite tre piccoli ritocchi in tre giorni per un deprezzamento complessivo del cambio ufficiale del 4,6%, può sembrare paradossale. È senza dubbio singolare che svaluti (a piccolissime tappe) un Paese ha accumulato 3,7 triliardi di riserve e in luglio ha riportato un saldo netto del cambio di 31 miliardi di dollari solamente con gli Usa. Tuttavia, se si conoscono la Cina e i cinesi, la mossa ha una sua logica, che dovrebbe preoccupare quell’Unione europea che, travolta dall’ormai infinita “crisi greca” pare rimasta impassibile. E non si dovrebbe dare retta alle dichiarazioni del portavoce delle autorità monetarie cinesi secondo cui il Celeste Impero non farà altre svalutazioni nel prevedibile futuro.
È come sempre in Cina una logica di lungo periodo che ha due obiettivi centrali i quali comportano una fase non breve di aggiustamenti graduali del cambio prima di andare, come auspicato da tempo dal Fondo monetario internazionale, a cambi fluttuanti. I due obiettivi sono uno interno e uno internazionale. Quello interno consiste nel facilitare la ristrutturazione dell’economia del Paese. La Cina è in fase di preoccupante rallentamento: secondo le statistiche ufficiali (non molto affidabili), il Paese cresce a oltre il 7% l’anno, ma, da un canto, ci sono differenze profonde da Provincia a Provincia e, da un altro, stime di economisti cinesi affermano che il tasso di crescita deve essere almeno del 10% l’anno se si vuole assorbire l’enorme trasmigrazione da aree rurali ad aree urbane. Ciò comporta una forte ristrutturazione dell’economia con un più ampio spazio a industria manifatturiera e servizi tecnologicamente avanzati.
A sua volta, ciò necessita che “il prezzo dei prezzi” dipenda dal mercato, non dall’amministrazione di vincoli e controlli da parte di strutture burocratiche. Per questa ragione il Fondo ha guardato con simpatia a svalutazioni indicative di un lungo percorso verso un yuan fluttuante. Sempre per questa ragione, gli Stati Uniti, che nel breve periodo potrebbero essere i più colpiti, non hanno fatto alcun commento. Per Washington, il riassetto strutturale della Cina è essenziale; senza di esso, il Paese potrebbe esplodere con conflitti locali; è lo scenario che più si teme alla Casa Bianca, al Pentagono e al Tesoro.
L’obiettivo internazionale è quello di far diventare lo yuan la moneta di transazione e riserva prima dell’area del Pacifico (60% della popolazione mondiale, oltre un terzo dell’output del globo e circa il 35% dell’export internazionale) e successivamente a livello mondiale. Ciò richiede non solo piccoli passi su un tracciato ben determinato – una svalutazione robusta potrebbe mettere in fuga parte dei titolari dei 3,7 triliardi di dollari nelle casse delle autorità monetarie cinesi -, ma anche un quadro di riferimento ben delineato. Pechino ha appena creato una Banca asiatica per le infrastrutture in aperta competizione non solo con la cinquantenne Banca asiatica per lo sviluppo ma con la stessa Banca Mondiale, sta investendo un modo massiccio in Africa e America Latina alla ricerca di cibo ed energia per i propri obiettivi interni. Anche il questo caso, “il prezzo dei prezzi” conta.
Per lo yuan può essere relativamente facile soppiantare lo yen come valuta di riferimento nel bacino del Pacifico. Ma si tratta solo di un primo passo. L’intenzione è di andare verso un “duopolio monetario” dollaro-yuan.
Alla sua nascita, l’euro ambiva a diventare unità di transazione e di riserva internazionale e fare parte di un “duopolio monetario” dollaro-euro con coordinamento tra Washington e Francoforte. Adesso l’euro ha un serio concorrente che può contare sulle dimensioni e il dinamismo del bacino del Pacifico a collocarsi come seconda moneta internazionale, dopo il green back Usa. L’euro verrebbe ridotta al rango di una delle già numerose monete regionali, non sempre accettata come unità di conto, di transazione e di riserva nelle maggiori operazioni internazionali.
A questo aspetto, che può ferire l’orgoglio di un’Europa in stagnazione e non in grado di risolvere i problemi della piccola Grecia, se ne aggiunge almeno un altro, più insidioso. Nei mercati monetari e finanziari, il percorso di piccole svalutazioni verso uno yuan fluttuante potrebbero causare tensioni, sbalzi e via discorrendo sui mercato monetari. Ciò non gioverebbe a un euro che necessita di un contesto sereno per rimettersi a posto e svilupparsi.
Ma distratti dalla Grecia e dalle richieste di “flessibilità” pochi se ne sono accorti. L’unione monetaria europea potrebbe essere non il terzo incomodo nelle relazioni monetarie transatlantiche, ma la vittima designata del grande progetto monetario di Pechino.