«La notizia di questo eventuale testo condiviso tra Pdl, Pd e Terzo Polo è certamente positiva perché fino a questo momento la tradizione italiana è stata caratterizzata da un’incapacità da parte delle forze politiche di arrivare a delle condivise ed organiche riforme, sia della forma di Stato che di Governo». Stelio Mangiameli, docente di Diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Teramo e Direttore dell’Issirfa – CNR, commenta in questa intervista per IlSussidiario.net l’esito del vertice alla Camera tra Angelino Alfano, Pierluigi Bersani e Pierferdinando Casini: gli esponenti dei tre maggiori partiti avrebbero infatti raggiunto un’intesa riguardo le riforme costituzionali da attuare, che prevedono la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto, la sfiducia costruttiva, il potere di nomina e revoca dei ministri da parte del presidente del Consiglio e la riforma dell’articolo 117 della Costituzione.
Professore, la storia ci insegna quindi che le forze politiche italiane non riescono ad arrivare a riforme condivise?
Esatto, perché come è noto i primi tentativi di attuare una riforma costituzionale risalgono alla cosiddetta Commissione Bozzi che, dopo aver concluso i suoi lavori con la relazione del gennaio ’85, rimase praticamente lettera morta. Il secondo tentativo fu invece portato avanti dalla Commissione De Mita-Iotti del 1993, il cui fallimento portò però alla riforma delle leggi elettorali per la Camera e il Senato. Nel frattempo si era tenuto infatti il referendum sulla legge elettorale del Senato del 18 aprile 1993, che portò al cosiddetto Mattarellum.
Arriviamo così al terzo tentativo…
Sì, che avvenne nel 1997 con la Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta da D’Alema. Fallì anche questo tentativo, e il testo elaborato dalla Commissione D’Alema venne di fatto messo da parte. Anche se, per effetto delle riforme legislative dovute alla legge Bassanini, il Parlamento approvò la modifica del titolo V con la legge costituzionale n.1 del 1999 e quella n.3 del 2001, attraverso una faticosa procedura. A quella data si bloccano di fatto i tentativi di riforme costituzionali, atteso che la riforma costituzionale del centro-destra della XIV legislatura cadde per il risultato del referendum costituzionale confermativo. In sostanza, perciò, sono esattamente 11 anni che non si procede ad un aggiornamento delle istituzioni della Repubblica, nonostante i cambiamenti dell’Unione europea e il processo di internazionalizzazione dell’economia. Il che vuol dire che l’Italia è arrivata impreparata alla nuova Unione europea disegnata dal trattato di Lisbona e alla crisi economico-finanziaria che è in corso.
Cosa pensa del lavoro preparatorio delle scorse settimane che ha portato a questa intesa?
Si è parlato a lungo della riforma del Parlamento, della modifica del bicameralismo perfetto e della riduzione del numero dei parlamentari. Nella bozza Violante, elaborata nella XV legislatura dalla Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati, erano previste tutte queste misure, compreso il Senato Federale, più la modifica della forma di governo, con la cosiddetta sfiducia costruttiva.
Si spieghi meglio
Si tratta di un istituto di derivazione tedesca, in contrasto con la filosofia alimentata nel corso di questi ultimi 15-20 anni del cosiddetto “antiribaltone”: se un sindaco, un presidente di Provincia, di Regione o lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri indicato al corpo elettorale e da questo eletto entra in crisi, si è sempre detto che è necessario sciogliere le rappresentanze compreso il Parlamento e ritornare a votare. La sfiducia costruttiva di cui si parla costituisce invece proprio l’inclusione di un istituto che consente proprio il “ribaltone”, perché permette al Parlamento, sulla base di una nuova maggioranza, di eleggere un nuovo Presidente del Consiglio; e lo stesso potrebbe accadere con i governatori delle Regioni, con i Presidenti delle province e con i Sindaci.
In Germania è applicata nello stesso modo?
Nel sistema tedesco la sfiducia costruttiva è stata applicata due sole volte dal 1949 ad oggi, ma è necessario sottolineare che essa funziona insieme a un altro istituto, cioè la cosiddetta questione di fiducia che il cancelliere può mettere su un atto del governo. Basti pensare infatti che il caso più chiaro e significativo della tradizione tedesca è la sfiducia costruttiva che fu esercitata contro il cancelliere Schmidt, che cadde perché i liberali rinunciarono alla coalizione con i socialdemocratici, creandone un’altra con i democratici cristiani tedeschi. Venne poi eletto il cancelliere Helmut Kohl, che subito dopo pose la questione di fiducia sul suo governo, invitando i propri deputati a non votarla.
Come mai?
Perché una volta che il governo risultò eletto e sfiduciato, Kohl chiese al presidente federale di sciogliere il Bundestag e andare a nuove elezioni, che confermarono attraverso il consenso popolare la sua leadership. Che poi durò sedici anni.
Quindi in questo caso la sfiducia costruttiva non ha agito da vero e proprio “ribaltone”.
Esatto. E’ stato invece lo strumento per consolidare, prima dello scioglimento delle Camere, una nuova maggioranza all’interno del Parlamento. Occorre ovviamente dire che questo è possibile in forme di governo fortemente evolute e dove vi sono convenzioni costituzionali forti.
Qual è quindi il difetto della forma di governo italiana?
Che le convenzioni costituzionali che reggono l’apparato di governo, i rapporti tra i partiti politici e le relazioni istituzionali sono debolissime, praticamente inesistenti. Non c’è un consolidamento dei comportamenti dei partiti politici, e a volte anche dei soggetti istituzionali, come il governo e il Parlamento.
Allora questo recente accordo Pd-Pdl-Terzo Polo può essere davvero considerato un momento storico?
Il fatto che queste tre forze politiche, capaci di coprire una percentuale di voti altissima dentro le due Camere, riescano a raggiungere un accordo riguardo le riforme costituzionali sui temi che sono stati indicati, deve certamente essere valutato in modo positivo. Questo potrebbe portare alla definitiva conclusione della fase transitoria che l’Italia attraversa dal 1992, cioè dall’inizio della vicenda di Mani Pulite.
Che cosa invece appare ancora poco chiaro?
Un problema è senza dubbio la mancanza di una compiuta riforma del Parlamento sulla costruzione di una Camera di rappresentanza delle Regioni e delle Autonomie, il cosiddetto Senato Federale. Affinché questo avvenga occorre che le rappresentanze regionali siano effettivamente costitutive di questa Camera, possibilmente insieme alle rappresentanze degli enti locali.
Parliamo invece di riforma elettorale
Secondo quanto hanno dichiarato i tre segretari Alfano, Bersani e Casini, le riforme costituzionali saranno completate certamente dalla riforma della legge elettorale, anche se in realtà quest’ultima è una legge ordinaria. Senza dubbio c’è una convergenza per la quale oggi le tre forze politiche, anche se per ragioni diverse, hanno interesse a modificare la legge elettorale.
Cos’è che non va dell’attuale Porcellum?
Il Porcellum si basa sul concetto di coalizione e sul premio di maggioranza legato alle coalizioni, che le obbligherebbe quindi a stare insieme ad altri partner. Il fatto è che le alleanze storiche, in particolare di Pd e Pdl, sono entrate in crisi: se quella Pdl-Lega è molto problematica, lo è ancora di più quella Pd-Sel, mentre il Terzo Polo, che è in condizione di captare un certo consenso, a sua volta sarebbe in difficoltà se si alleasse sia con il Pdl che con il Pd.
A quale sistema si arriverà secondo lei?
Ultimamente si parla del sistema tedesco, cioè un proporzionale con clausola di sbarramento, che non è il vero sistema elettorale tedesco. Sembra poi che Casini in particolare stia insistendo sulla questione del voto di preferenza come elemento di scelta da parte del cittadino del proprio parlamentare. Il problema è che il voto di preferenza in realtà non lo vuole nessuno, perché i partiti attuali non hanno più la rete territoriale per raccogliere questo tipo di voti. Di conseguenza questa scelta potrebbe mettere in crisi il sistema dei partiti e essere la palese dimostrazione di una mancanza di una vera e propria aderenza popolare. Altri, come D’Alema, auspicano un ritorno non tanto del Mattarellum, con i collegi uninominali a turno secco e una quota di proporzionale fissa, quanto il modello francese, con un doppio turno che oggettivamente favorirebbe i partiti maggiori, penalizzando quelli minori.
(Claudio Perlini)