Piccoli, fragili segnali di ripresa negli Stati Uniti e dati ancora negativi per i Paesi dell’Eurozona. La fotografia viene dall’Eurostat, dove si conferma quello che già si sapeva. La recessione tecnica dell’Italia per i due trimestri consecutivi di Pil negativo, l’ultimo trimestre 2011 negativo anche per la Germania (-0,2%) e note dolenti per tutti. La famosa crescita sembra ormai che neppure più interessi, mentre si sigla il micidiale “Fiscal compact” e ci si avvicina a scadenze importanti come le elezioni francesi, che possono ribaltare tutto lo scenario europeo e, in più, la tendenza del barile del petrolio a crescere, con un’eco di venti di guerra di Iran dalle conseguenze imprevedibili. Luigi Campiglio, docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, riesce a cogliere segnali positivi solo negli accenni di ripresa degli Usa (+0,7%), ma sembra che scuota la testa di fronte ai dati dell’Eurostat.
La situazione non cambia, professore, e quindi anche le conclusioni non possono essere ottimistiche.
Le dirò che sono rimasto angosciato, senza parole, dai fatti di cui sento parlare sempre più spesso. Cioè dei sucidi di imprenditori e lavoratori che sono soli, che non hanno più speranza e che si uccidono. Significa che queste persone hanno raggiunto un livello di disperazione impensabile. Questo è l’aspetto più drammatico di un disagio sociale che non è possibile registrare solamente. Questi sono fatti che occorre prendere in considerazione con la dovuta serietà e umanità. Qui non è possibile non ascoltare, non intervenire. Non ci si può solo limitare a dare una mano a queste persone quando si è in Chiesa. Come è possibile non saper leggere, saper cogliere in questa disperazione un’autentica tragedia sociale in cui diventa necessario un intervento immediato? La politica non può restare a vedere avvenimenti del genere.
Il rapporto dell’Eurostat conferma un andamento che sarà recessivo per quest’anno.
Non c’è dubbio che, visti i dati, il Paese che è più in difficoltà è il nostro. Ma l’ordine sparso con cui va avanti questa Europa è impressionante. Così come mi pare miope la posizione della Germania. Io credo che Berlino pensi in questo momento di poter permettersi quelle tendenze isolazionistiche che hanno caratterizzato, in alcuni periodi, la storia americana. Credo che pensi di essere una piccola America. Ma questo mi sembra una visione che non sta né in cielo, né in terra. La miopia sta nel fatto che non è possibile neppure per la Germania andare bene con i paesi dell’Eurozona in difficoltà.
Lei insiste sulla necessità di un intervento del presidente americano Barack Obama sulla Germania?
Penso che in questo momento non ci sia alcun Paese europeo che possa fare pressioni positive sulla Germania. Non resta che Obama, il quale è interessato, anche in quest’anno elettorale, a non passare come il Presidente della non crescita e conosce l’importanza di un mercato europeo in buone condizioni per gli Stati Uniti. Io non vedo altre strade di fronte all’attuale atteggiamento tedesco.
Ci sono altri fattori che pesano sullo scenario mondiale: siamo quasi alla vigilia delle elezioni francesi con un Nicolas Sarkozy in difficoltà. Lì si rischia anche la governance di fatto dell’attuale Europa.
Anche questo è un motivo da tenere in considerazione, su cui bisognerebbe riflettere. Ma anche questo sembra quasi trascurabile nell’ottica miope della attuale politica della Germania.
C’è infine da considerare un aumento del prezzo del petrolio che potrebbe andare alle stelle con una crisi mediorientale.
Questo lo paghiamo soprattutto noi, perché la domanda che viene dai paesi emergenti è ancora sostenuta e quindi il prezzo del barile non scende.
Quale è la situazione, in questo scenario complicato, che la preoccupa di più?
Il disagio sociale. Qui si continuano a fare discorsi astratti, Si ipotizzano riforme del mercato del lavoro, in entrata e in uscita, e non si vede che il 20% degli occupati in Italia ricade nella “classe zero”. Gente sola, di cui neppure si parla e di cui nessuno si preoccupa. È questo l’aspetto più terribile.
(Gianluigi Da Rold)