Botta e risposta tra il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, e il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, sui segnali contrastanti che vengono dal settore produttivo nel mese di settembre. Rispetto ad agosto la produzione industriale cresce dello 0,2%, mentre rispetto a settembre 2012 diminuisce del 3%, con il 25esimo calo annuale consecutivo. Per Sangalli, “le imprese del commercio, turismo, servizi sono stremate, da Nord a Sud. E purtroppo il 2014 non sarà certo l’anno della ripresa sostanziale. Non lo sarà anche per la legge di stabilità che se non verrà corretta lascerà irrisolti i problemi strutturali della nostra economia”. A stretto giro la risposta di Saccomanni, secondo cui “l’attività economica si sta stabilizzando e il Paese si sta avviando verso una graduale ripresa”. Nel frattempo è allarme cassa integrazione in deroga, in quanto i fondi per gli ammortizzatori sono esauriti e si registra un buco pari a 330 milioni di euro solo per il 2013. Ilsussidiario.net ha intervistato il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze.
Professor Forte, chi ha ragione, Sangalli o Saccomanni?
Anche se l’affermazione del presidente di Confcommercio è un po’ generica, indubbiamente è evidente dai dati che abbiamo che il 2014 non elimina la caduta del 2013 e del 2012. Non recuperiamo cioè in modo pieno rispetto al 2011, e quindi non torniamo a una situazione pre-crisi. L’aumento dello 0,7% nel corso del 2014 non ci farà recuperare quanto avremo perso nel corso del 2013, ma soltanto una parte, e quindi ci resterà da recuperare quanto abbiamo perso nel corso del 2012.
Insomma è presto per parlare di ripresa?
Esattamente, e ha dunque ragione Sangalli, in quanto la crescita è troppo modesta rispetto a quanto ci si potrebbe attendere come recupero di capacità non utilizzate. Ciò dipende dal fatto che l’economia è rigida e non la si stimola abbastanza con gli strumenti di flessibilità. Tra questi c’è anche il credito all’economia, ma soprattutto la rimozione di ostacoli per farlo affluire.
Quanto è grave invece la situazione della cassa integrazione in deroga?
La cassa integrazione in deroga riguarda coloro che non hanno diritto alla cassa integrazione ordinaria. Si tratta quindi di lavoratori non strutturati. Non è dunque un segnale rilevante per l’industria, ma solo un segnale per le aberrazioni del governo Monti non corrette dal governo Letta
A che cosa si riferisce?
All’abolizione delle partite Iva e agli ostacoli alla mobilità in entrata che hanno reso difficile la sistemazione dei cosiddetti precari, rendendoli ancora più precari. All’origine del buco c’è anche il falso pietismo e assistenzialismo, in quanto la cassa integrazione in deroga è un modo occulto per prolungare un posto di lavoro fittizio per chi l’aveva già.
In che modo è possibile risolvere il problema?
Se ci sono delle persone o delle famiglie bisognose in relazione alla questione della disoccupazione, occorre intervenire su queste. Non si può però continuare a mantenere questa forma aberrante e distorta di assistenzialismo, che rappresenta appunto una misura in deroga, quindi congiunturale, e che segnala semplicemente che in Italia si è creata un’emergenza mediante norme sbagliate che rendono più vischioso di prima il mercato del lavoro. L’unica vera soluzione alla crisi del settore produttivo in Italia può quindi essere rappresentata dal sostegno alle esportazioni e dagli incentivi agli investimenti.
È possibile farlo senza attuare nello stesso tempo delle politiche keynesiane?
Gli investimenti infrastrutturali, per esempio nei confronti della banda larga, in gran parte possono essere attuati dalla stessa economia di mercato. Il contributo pubblico è limitato e avviene senza creare deficit di bilancio. Lo stesso Ponte sullo Stretto rappresenta un tabù, eppure con il ribasso del tasso d’interesse c’è un contributo pubblico ma in gran parte si tratta di investimenti privati. Con poche somme, che tra l’altro vengono remunerate, è possibile rilanciare gli investimenti.
Lei nello specifico quali forme di intervento privilegerebbe?
L’emendamento Pizzolante sulla privatizzazione degli edifici balneari consentirebbe un volano di investimenti privati che si svilupperebbe insieme a soldi che finiscono nelle casse dello Stato. Attraverso determinate operazioni si sviluppano gli investimenti. Si tratta di togliere barriere che possono fare partire investimenti, approfittando della liquidità della Cassa Depositi e Prestiti. Vanno inoltre sostituite le operazioni dirigiste e gli improbabili salvataggi di un tempo con la scelta di fare affluire maggiore credito alle iniziative economiche dei privati.
(Pietro Vernizzi)