Senatore, la trattativa si è protratta per tre giorni più del previsto e al momento di questa conversazione non c’è ancora alcun accordo. Al di là dell’esito, quali considerazioni si sente di fare sulla vicenda Alitalia?
Stando così le cose, l’ipotesi sul tappeto sembra l’unica praticabile. L’alternativa è certamente il fallimento. Credo che lo stallo della trattativa sottolinei ancora una volta la questione che ho sollevato a più riprese in queste settimane, cioè che non bisognava mettersi in condizione di avere una sola opportunità. Bisognava far di tutto per avere più scelte e per non ritrovarsi all’angolo, come ora si trova il governo.
Cosa risponde a chi fa notare che i costi del fallimento sarebbero inferiori a quelli del salvataggio?
Non ne sono così certo, perché dubito seriamente che a quel punto non ci siano pressioni molto forti per organizzare un sistema di ammortizzatori sociali per tutti gli occupati sia di AirOne che di Alitalia. Penso che il salvataggio non sia stato costruito in maniera sensata. Però ripeto, la vicenda di queste ore dice chiaramente che non bisognava mettersi in condizione di avere una sola possibilità. Forse si è pensato, in questo modo, di avere più facilmente l’accordo sindacale.
Cosa bisognava fare?
Credo che la vera alternativa andasse costruita quattro o cinque mesi fa: fare in modo che la trattativa allora in corso con Air France rimanesse in piedi, in modo da avere due possibilità, da alimentare entrambe fino alla decisione. È la regola elementare per qualunque venditore: tenere aperte più opzioni in modo da poter sfruttare le condizioni migliori. Invece qui si è voluto eliminare l’opzione Air France in modo che rimanesse in piedi solo quella attuale, ma come si vede, il primo a trovarsi in un vicolo cieco è stato il governo.
Qual è il suo giudizio sulla posizione dei sindacati, sia al momento del no ad Air France, sia per come si è venuta delineando nelle ultime ore?
Penso francamente che i sindacati avessero talmente tante cose da farsi perdonare nel caso Alitalia, che speravo non ne aggiungessero altre. L’errore del governo è stato quello di pensare che, di fronte al fallimento, i sindacati avrebbero alla fine accettato. Vediamo ora che non è stato così. Ma la strada era un’altra: passava per il commissariamento, da fare però mesi fa, per dare al commissario il tempo e le forze necessarie per esaminare più ipotesi. Questo avrebbe consentito una diversa relazione con il mondo sindacale. Ribadisco che il sindacato ha sulle spalle enormi responsabilità, ma non si può nemmeno pretendere che il sindacato smetta di essere se stesso, dando prova di responsabilità. E una parte del sindacato sta probabilmente valutando se non sia meglio il fallimento.
Non ci sono a suo avviso le ragioni che consentano di vedere il comune interesse, ragioni che possano portare ad un accordo delle parti per il bene dell’azienda?
Ho sempre avuto dubbi che il sindacato italiano fosse in grado di rappresentare gli interessi della collettività. Non vuole essere una critica al sindacato, che fa il suo mestiere: difendere i propri iscritti. Naturalmente spesso e volentieri questo obiettivo del sindacato non solo non coincide, ma è in conflitto col bene comune. Il problema è che dev’essere la politica a individuare la strada migliore per il bene comune. Nel caso di Alitalia, e gli ultimi mesi non smentiscono questa regola, il problema è venuto dalla politica oltre che dal sindacato. Cero i sindacati hanno perso tutte le occasioni possibili.
Provi di immaginare il 15 settembre di Alitalia.
Se la trattativa si conclude positivamente, vedo il ripristino del percorso che era stato immaginato nell’offerta fatta da Cai a Alitalia. Se invece dovesse fallire, credo che volare in Italia diventerà molto, moto complicato.