A volte, a leggere i giornali e gli organi di informazioni della stampa “nemica” (o amica del regime finanziario, fate voi) si leggono delle frasi bellissime. Non solo giuste, non solo corrette (a volte devono salvare l’apparenza), ma proprio belle, anzi bellissime. Perché la verità, quando emerge dal mare della menzogna, appare proprio bellissima. E così mi pare che sia della frase che ho trovato all’inizio di un editoriale de Il Sole 24 Ore, a firma del direttore Roberto Napoletano. “La speranza si costruisce con il coraggio della verità”.
Una frase banale, lapalissiana: la quale, in tempi di grave crisi culturale e morale (e politica ed economica) in cui occorre rispiegare e difendere verità banalissime (il sole è giallo, il mare è blu e la crisi rimarrà durissima finché domineranno le stesse strutture finanziarie) rifulge di una bellezza abbagliante. E la bellezza è tutta nel termine “speranza”, quella virtù umana (senza dimenticare che è anche una virtù teologale) che è la vera linfa di quella fiducia smarrita soprattutto nei mercati finanziari e negli operatori bancari, per cui le banche stesse non si fidano più tra loro. E l’esempio più lampante di questa mancanza di fiducia è il crollo del credito interbancario.
Le verità possono essere di molti tipi e di diverso valore gerarchico. Ma sono le condizioni storiche che dettano il “coraggio della verità”: se infatti la verità da affermare è una banalità che tutti sanno e affermano, che coraggio ci vuole? E non ci vuole molto coraggio nemmeno se la verità da affermare è tanto profonda che ben pochi possono capirla. Invece il vero “coraggio della verità” si attua quando una verità, soprattutto se banale, viene costantemente rimossa o negata dal pensiero culturalmente dominante.
Oggi il pensiero dominante è che ci vuole più Europa, che uscire dall’euro è un disastro, che occorre seguire in qualche modo il modello Usa, con un maggiore accentramento di poteri. A questo segue il fatto che “ora inizia la ripresa” e che dobbiamo sbrigarci con le riforme “per agganciare la ripresa”. Come se l’andamento dell’economia fosse una regata in barca a vela nella quale non occorre andare in linea retta ma seguire il percorso a zig zag per trovare il vento più forte.
Ebbene, in questo ambito culturale, per mettere insieme i numeri, descrivere un quadro diverso e raccontare il fallimento di questa impostazione ci vuole il “coraggio della verità”. E la verità è tutta nei numeri emersi in questi ultimi giorni: il Pil americano è in calo al -2,9%, molto peggio di tutte le previsioni degli analisti; e la produzione industriale italiana ha auto una diminuzione in maggio pari all’1,8% (anche qui ha superato al ribasso le peggiori previsioni). Se dobbiamo seguire la politica economica e monetaria americana, la stiamo seguendo verso il baratro.
Ormai è chiaro, il sistema finanziario, bancario e monetario attuale non funziona e non ha gli strumenti per fronteggiare questa crisi. Dopo anni di prese per i fondelli sulla ripresa che avremo tra sei mesi (oppure “non ancora, il prossimo anno” come ritornello alternativo), dopo che all’epoca del governo Monti ci annunciavano “la luce in fondo al tunnel”, oggi finalmente la verità dei numeri induce al coraggio della verità un sempre maggiore numero di persone.
Anche l’onorevole Brunetta alcuni giorni fa si è sbilanciato con parole dai contenuti durissimi: “L’euro tedesco, di fatto, contro ogni volontà e sogno, ha distrutto l’Europa, creando squilibri crescenti, appunto, nelle bilance dei pagamenti; e tassi di interesse divergenti, senza alcun meccanismo di redistribuzione e di riequilibrio. È questa la malattia mortale che ci affligge”. Pure lui ha notato che in una situazione europea in cui un Paese ha un surplus di bilancia dei pagamenti pari al 7% e nessuno fa niente, può solo finire male, molto male. E se si nasconde il problema sotto il tappeto e si fa finta di niente, invece che male finirà peggio.
Renzi va in Europa a discutere di flessibilità, ricevendo quello che merita (cioè niente, “la flessibilità è quella consentita dai trattati”), invece di andare a rinfacciare la continua violazione dei trattati da partedegli altri paesi, come il surplus della Germania o come il fatto che la banca centrale tedesca ricompri i Bund tedeschi rimasti invenduti, tenendo così artificialmente basso il costo per loro e accentuando la differenza con i nostri titoli, differenza che oggi tutti chiamano “spread” e ci additano come colpa. Mentre la nostra vera colpa è quella di subire e stare zitti.
Tornano alla mente parole recenti pronunciate da Prodi: “È un Paese che anche nella crisi resta spaccato tra un Nord in cui tutto è di passaggio e un Sud in cui tutto è scolpito nella pietra e immutabile. È una cultura che non accetta il fallimento e il valore dell’errore, per cui gli sconfitti sono quelli che la battaglia non l’hanno neppure potuta combattere”. Parole sacrosante, ma che vanno applicate soprattutto alla finanza. Di fronte ai problemi del Paese, cosa fa la finanza? Banchetta e lascia che il Paese affondi, preservando unicamente i propri interessi. Loro vogliono la certezza della vittoria, la certezza del profitto, per cui si ingegnano ogni momento per togliere all’economia le armi per la sopravvivenza, in modo che “gli sconfitti sono quelli che la battaglia non l’hanno neppure potuta combattere”. Stanno allegramente e ottusamente tagliando il ramo su cui sono seduti. Lo dicono i numeri: i prestiti alle imprese e alle famiglie sono in continua flessione, mentre i mercati finanziari continuano i loro record al rialzo.
Per completare il quadro, il ministro Padoan in settimana ha dichiarato che “per la crescita non ci sono scorciatoie”. Anche perché, se vi fosse una scorciatoia, la prima conseguenza sarebbe che loro, gli esperti, sarebbero totalmente inutili. E questi sono gli stessi esperti (dell’Ue come Monti, della Bce come Draghi, della Banca d’Italia come Saccomanni, del Fondo monetario internazionale come Padoan) che prima non avevano visto la crisi, poi l’hanno negata, poi l’hanno minimizzata, infine hanno ammesso che era grave ma la ripresa sarebbe stata dietro l’angolo. Per anni sempre dietro l’angolo. Abbiamo seguito (anche contro il volere popolare, ma dopo un certo punto senza lo scomodo volere popolare, soprattutto in Italia) le loro istruzioni e ci siamo trovati in un vicolo cieco, senza angoli.
Ora continuano a propinarci le loro ricette sbagliate e non possono fare differentemente: se dovessero riconoscere che la finanza e la moneta dipendono dalla fiducia, loro stessi si qualificherebbero come non adatti al problema attuale. Se il problema centrale è la fiducia, cosa c’entrano economisti ed esperti di tutte le risme? Se questo è il comportamento dei presunti difensori dei nostri interessi, possiamo ragionevolmente avere speranza?
No, “la speranza si costruisce con il coraggio della verità”. E proprio la speranza è uno dei temi centrali del prossimo Convegno nazionale indetto dalla Cei per ottobre. “Nella precarietà la speranza” sarà il titolo. Dove bisogna avere il coraggio della verità anche sul primo termine, definito come “situazione di incertezza, in attesa di un peggioramento”. Questa sarà un’occasione importante, speriamo decisiva, per riaffermare pubblicamente che la speranza si costruisce con il coraggio della verità.
E la prima verità da riaffermare (a mio modesto parere) è che la scorciatoia esiste veramente ed è “il coraggio della verità”. Non perché io preferisca le scorciatoie: ma perché, rispetto al lungo e doloroso bagno di sangue (economicamente e politicamente parlando) che chiamano austerità e pareggio di bilancio (che matematicamente non esiste e infatti nei numeri non esiste) l’alternativa di avere il coraggio della verità e di costruire la speranza (che inevitabilmente richiede del tempo) è ormai divenuta una scorciatoia.
Gli esperti si illudono di preservare i loro privilegi e il loro status, facendo pagare ai popoli il conto di una finanza che avvantaggia solo i potenti e i più forti. Ma possiamo essere fiduciosi: ormai non ne azzeccano più una. E il coraggio della verità ormai si diffonde come un virus, sempre più rapidamente e sempre più imprevedibilmente.
P.S.: Mediaticamente interessante definire le opinioni diverse dalla propria come “scorciatoie”, affibbiando implicitamente al termine scorciatoia una connotazione negativa. Ma la scorciatoia potrebbe essere negativa solo se a dominare è l’ignoranza, cioè se “si sa cosa si lascia ma non si sa cosa si trova”. In caso diverso, quando la scorciatoia realizza più facilmente (seppure con tutti i limiti) il bene comune, solo i poteri forti hanno interessi contrari alla verità. Allora il coraggio della verità diventa un dovere sempre più stringente.