«Torno con molto piacere al Meeting di Rimini. Le persone, le famiglie e i volontari che ho incontrato l’anno scorso mi hanno stupito molto. Mi sono sentito a casa perché ho avvertito che con questo popolo c’è un’oggettiva comunanza di valori». Parola di Roberto Cota, presidente del Piemonte, che oggi interverrà all’incontro dedicato alle politiche per la famiglia. Due giorni fa il governatore leghista ha partecipato invece a quel vertice di Lesa che sembra aver scongiurato le elezioni anticipate e che ha sicuramente rasserenato il clima nella maggioranza. Il fuoco incrociato tra berlusconiani e finiani si è infatti interrotto, mentre i “pontieri” sembrano prendere coraggio.
Presidente, cosa cambia per la Lega Nord dopo l’incontro tra Berlusconi e Bossi?
Dal nostro punto di vista non cambia nulla perché è stato riaffermato quello che abbiamo sempre detto. L’unica maggioranza possibile è quella uscita dalle elezioni: Lega e Pdl, con un solo Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, com’era indicato sulla scheda elettorale. I cittadini non hanno scelto altri tipi di maggioranza. Nessuno spazio perciò a governi tecnici, inciuci e allargamenti della coalizione a forze che, come nel caso dell’Udc, si erano presentate all’opposizione.
Secondo alcuni opinionisti la Lega potrebbe fare addirittura da paciere e colmare la distanza tra Berlusconi e Fini. È così?
Posso solo dire che, soprattutto in questa fase, serve la massima chiarezza da parte di tutti. Noi continuiamo a essere determinati, costruttivi e positivi. In questi anni abbiamo lavorato a testa bassa nell’interesse della gente, senza far polemiche. Non è un caso se la Lega continua a crescere.
Se la verifica di governo non avesse però esito positivo tornereste a chiedere il voto anticipato?
La posizione della Lega è chiara e semplice. Se la maggioranza ha i numeri governa, se non li ha non ci sono alternative al voto. Detto questo, il nostro obiettivo non è certo quello di tornare alle urne a tutti i costi.
Il Carroccio si è opposto duramente all’ingresso dell’Udc. Su questo punto non avete voluto proprio sentir ragioni…
Certo, i motivi sono chiarissimi. Quando erano con noi al governo, dal 2001 al 2006, mettevano quotidianamente il bastone tra le ruote al lavoro dell’esecutivo. Alle ultime elezioni si sono presentati all’opposizione e in Parlamento non hanno votato il federalismo fiscale. Non solo, in Piemonte, pur di darci contro, hanno addirittura appoggiato Mercedes Bresso, una candidata incompatibile con i valori cattolici. Per chiudere in bellezza, nella stessa regione partecipano attivamente alla “battaglia dei ricorsi” per rovesciare il verdetto popolare.
In base alle ultime novità, qual è la sua opinione proprio su questa vicenda?
Guardi, a livello politico, giuridico e anche umano questa storia è una vera “schifezza”. Le elezioni si sono svolte regolarmente e gli elettori mi hanno scelto come governatore. Quando la sinistra ha realizzato di aver perso il Piemonte sono saltati fuori dei cavilli, assolutamente fuori tempo massimo. Non solo, la lista per la quale è stato disposto il riconteggio era già stata oggetto di un pronunciamento da parte di due tribunali, quello di Asti e quello di Cuneo. Non si tratta perciò di un ricorso contro di me, ma di uno scontro tra giudici. Di certo non può essere la volontà popolare a farne le spese.
Ma quanto è alto il rischio di tornare a votare?
Il risultato delle elezioni non è in discussione e non c’è il minimo rischio di tornare a votare. Su questo sono assolutamente tranquillo. Mi piacerebbe però che gli esponenti del Pd fossero coerenti e si pronunciassero contro questo tipo di operazioni, come fecero quando accadde la stessa cosa a Soru nel 2004.
Questa vicenda si lega poi al suo mancato invito alla “Festa del Pd” di Torino, alle polemiche e alle conseguenti defezioni dei ministri leghisti. Sergio Chiamparino, all’interno del Pd, si è però distinto in entrambi i casi e ha ricevuto anche gli apprezzamenti di Umberto Bossi…
È vero. La sinistra è ormai divisa in due. C’è una parte che vorrebbe andare oltre la sconfitta, preoccupandosi dei problemi reali. È una sinistra che ha capito che inseguendo la rivincita attraverso i tribunali aumenta solo la propria distanza con la realtà e con la gente. Di questo tipo di sinistra Chiamparino è certamente l’esponente più autorevole. Con lui ho un buon rapporto e, in questi pochi mesi di collaborazione, abbiamo raggiunto insieme degli ottimi risultati.
Alla ripresa dei lavori le Regioni torneranno a discutere di tagli e di federalismo. I maggiori poteri che gli enti locali inizieranno ad avere potranno compensare in qualche modo i sacrifici che la manovra Tremonti ha chiesto, suscitando non poche polemiche?
Sulla manovra la mia posizione non è cambiata: quando la situazione impone dei tagli la classe dirigente se ne deve assumere la responsabilità. Per quanto riguarda il federalismo, l’obiettivo per gli enti locali è quello di non dover più scendere a Roma con il cappello in mano.
Cosa intende dire?
Siamo ancora in un sistema di finanza derivata. I territori, in pratica, chiedono a Roma la restituzione dei soldi di cui hanno bisogno. Lo Stato centrale elargisce, ma, in caso d’emergenza, taglia i trasferimenti. Questo meccanismo porta inevitabilmente all’impossibilità di fare una programmazione seria e alla deresponsabilizzazione.
Con la riforma federale, invece?
È chiaro che se un governatore è a conoscenza di quante risorse rimangono sul proprio territorio, perché dipendono dalla sua politica fiscale e da una quota di gettito che gli viene garantita, è certamente più responsabilizzato.
Diciamo che la crisi ci ha mostrato, in maniera ancora più evidente, quanto fosse necessario il federalismo fiscale. È davvero l’unica via per risollevare il Paese.
(Carlo Melato)