“Il futuro del Pd e della stessa legge elettorale sarà deciso il 4 dicembre. Prima del referendum l’unico modo per dire no all’Italicum è votare contro la stessa riforma costituzionale”. E’ la posizione di Stefano Fassina, deputato di Sinistra Italiana e consigliere comunale a Roma. Dopo che Pier Luigi Bersani ha annunciato che voterà No al referendum, la spaccatura nel Pd sembra essere diventata irreversibile. Matteo Renzi ha affidato la sua replica intervenendo all’Arena di Giletti su RaiUno: “Non si vota sulle nostre facce. E quando uno vota per antipatia, dimostra scarsa visione del Paese. C’è chi fa politica per cambiare il Paese e chi solo per attaccare gli altri”.
Lei è stato a lungo nel Pd prima di uscirne. Come giudica quanto sta avvenendo al suo interno?
E’ inevitabile, dato che ci sono due impostazioni radicalmente diverse. Alla fine nonostante la disponibilità di Bersani e degli altri esponenti della minoranza Pd, anche con comportamenti parlamentari contraddittori rispetto alle loro valutazioni, i nodi vengono al pettine. Il Pd è sempre più il partito dell’establishment che va in una direzione opposta rispetto alla necessità di recuperare la rappresentanza del lavoro, del popolo e delle periferie.
Secondo lei dove porta questa situazione?
Dipenderà molto dal risultato del 4 dicembre. Le prospettive del Pd quantomeno per una parte significativa saranno definite il giorno stesso del referendum.
Renzi non vuole fare una proposta di modifica dell’Italicum perché teme che poi sia “impallinata”?
Renzi è poco credibile per fare una proposta elettorale che affronti davvero i limiti dell’Italicum. Il premier ha messo la fiducia su quella legge elettorale e oggi è in difficoltà perché i sondaggi elettorali e le rilevazioni di voto evidenziano che al ballottaggio perderebbe, e tuttavia fa fatica a tornare indietro. Questa è la ragione vera per cui le parole di Renzi oggi sono poco credibili.
Se Renzi è poco credibile, quali margini restano per trovare un accordo?
Per quanto mi riguarda, prima del 4 dicembre l’unico modo per cambiare legge elettorale è dire No alla revisione costituzionale.
Renzi ha ricordato che Bersani ha già votato sì per tre volte alla riforma costituzionale. Ha ragione a rispondergli così?
No, non ha ragione perché allora i componenti della minoranza che votarono sì alla riforma fecero delle dichiarazioni di voto che ricordo perfettamente. Io in quel frangente votai no, però quanti nella minoranza Pd votarono sì lo fecero condizionando il proprio voto positivo a una radicale modifica della legge elettorale. Non a caso dissero che qualora questa modifica non ci fosse stata, la posizione sulla revisione costituzionale sarebbe stata negativa.
Nel frattempo che fine hanno fatto i partiti a sinistra del Pd?
I partiti a sinistra del Pd da un lato sono stati sostanzialmente responsabili delle politiche fallimentari dell’ultimo quarto di secolo. Quando poi hanno rotto lo hanno fatto con ritardo e hanno trovato un terreno occupato da M5s. Quindi ci sono limiti soggettivi e oggettivi, ed è necessario un umile, paziente e sistematico lavoro di ricostruzione culturale e di legami sociali, in particolare con il popolo delle periferie.
Quindi anche Bersani si è mosso in ritardo?
In riferimento a che cosa?
Sia rispetto alla riforma costituzionale, sia rispetto alle trasformazioni nel Pd …
In relazione alla riforma costituzionale Bersani ha definito la sua posizione in conseguenza dei cambiamenti dell’Italicum. Di fronte alla sostanziale impossibilità di correzione dell’Italicum, h preso posizione nei confronti della revisione costituzionale. Nel Pd in generale c’è un ritardo nella valutazione di quanto profondi siano i problemi del partito in relazione ai suoi difetti originari. Mi riferisco a quel plebiscitarismo sul terreno della cultura istituzionale e a quel neoliberismo europeista sul terreno economico e sociale. Anche chi nel partito è molto lontano da Renzi, fatica a riconoscere i difetti d’origine del Pd.
Non è in fondo un’impostazione che il Pd condivide con il Partito laburista di Jeremy Corbyn?
No, non è così. Il Partito laburista sta facendo una revisione a 360 gradi rispetto al blairismo. Elegge il segretario solo con i voti di quanti erano già iscritti prima del giorno del voto. Ricordo tra l’altro che i laburisti inglesi analizzano la stessa coerenza di chi si iscrive rispetto alla sua storia politica passata, tanto che l’anno scorso a qualcuno è stata rifiutata l’iscrizione. Al contrario nel Pd alle primarie per il segretario può votare anche il primo che passa.
(Pietro Vernizzi)