Durante la settimana in corso – che segue quella in cui la decisione di Mario Draghi di far acquistare alla Bce in maniera illimitata titoli di stato dell’Eurozona ha riportato speranza sui mercati – ci saranno alcuni avvenimenti di notevole importanza. Il principale e il più atteso è per domani, quando arriverà la sentenza della Corte Costituzionale tedesca sul fondo salva-stati Esm, che potrà anche avere effetti sulle operazioni della Bce riguardanti i titoli di stato. Fortunatamente, i segnali e i rumors che si susseguono sia nelle piazze finanziarie che negli ambienti politici sembrano indicare che dalla corte di Karlsruhe arriverà un parere positivo. Si tratterebbe di un importantissimo segnale di cambiamento culturale in corso nei vertici della politica tedesca. Come ha sottolineato ieri George Soros sul Financial Times, la Germania probabilmente sta cominciando lentamente ad abbandonare la sua linea economica deflazionistica, che può provocare consistenti danni non solo all’economia finanziaria, ma soprattutto all’economia reale.
Il secondo evento importante della settimana (anch’esso di domani) riguarda le elezioni olandesi. A quanto pare, il vecchio partito laburista e il nuovo partito socialista non porteranno avanti quelle politiche anti-euro che ci si aspettava di vedere prevalenti nell’opinione pubblica. Si tratta di una buona notizia, perché se le cose andassero diversamente si potrebbero riaccendere atteggiamenti simili anche in Germania. Un terzo appuntamento si terrà oggi, quando il primo ministro greco Antonis Samaras incontrerà Mario Draghi per discutere della difficile situazione di Atene.
Naturalmente questa serie di avvenimenti non muta il contesto generale che non può che provocare ansietà non solo sui mercati, ma anche negli osservatori. Il dubbio di fondo, sollevato già da alcuni economisti americani dato che vale anche per gli Usa e non solo per l’Europa, è se gli interventi della banca centrale sul debito sovrano potranno realmente alleggerire o migliorare la situazione dell’economia reale. Si dice infatti che dovrebbero consentire alle banche di liberare risorse da riversare sull’economia reale, ma l’esperienza insegna che fino a oggi questa benevolente ipotesi non si è avverata.
Nonostante quello che dicono i gruppi dirigenti delle banche europee, il credit crunch è ancora persistente, e sarebbe ancora più forte se non fosse per il settore del credito cooperativo. Settore che però ha instaurato un forte braccio di ferro con la stessa Bce. Queste banche, che in molti casi hanno salvato l’industria manifatturiera dell’Europa del Sud, non vorrebbero avere l’Eurotower come supervisor e non vorrebbero essere soggette alle stesse tecniche di accountability valide per le banche capitalistiche. Il futuro di molte imprese potrebbe quindi dipendere dall’esito di questa battaglia.
A questa situazione già di per sé molto complicata, fatta di luci e di ombre, si aggiunge il peggioramento dell’economia reale italiana. Oltre ai nuovi dati sul Pil, ieri sono risuonate preoccupanti le dichiarazioni di Luigi Angeletti, secondo cui ci sarà un autunno caratterizzato dalla perdita di posti di lavoro. Al di là delle cifre citate dal Segretario generale della Uil, non c’è dubbio che esistano tante imprese, soprattutto piccole, in sofferenza, oltre a intere aree territoriali a rischio: l’esempio più lampante è quello della Sardegna, dove tutti i comparti industriali sono in crisi.
Tutto questo mi fa dire che bisogna abbandonare l’idea che gli aiuti debbano arrivare solo dall’Europa. Bisogna trovare degli spazi di manovra, sfruttando meglio le pieghe del bilancio e facendo nel caso il muso duro con le istituzioni europee, affinché si comincino a mettere in atto degli interventi diretti del governo italiano. Questo deve essere il nostro primo compito dopo le vacanze.
Dobbiamo ricercare tutte le strade di un riformismo possibile che porti a degli aiuti concreti. Per esempio, gli interventi di detassazione per le assunzioni al Sud andrebbero estesi anche al centro-nord, dove abbiamo interi territori in sofferenza (basti pensare all’area pedemontana). Per quanto possibile, occorre una politica favorevole alle assunzioni a tempo indeterminato, di segno contrario alla riforma Fornero che ne ha aumentato i costi. Si potrebbe poi pensare a delle nuove forme di intervento dello Stato in economia, non più attraverso partecipazioni azionarie. Meglio piuttosto pensare a forme di prestito alle imprese in difficoltà con obbligo di restituzione, così che non si configurino come inammissibili aiuti di Stato.
Per l’Italia è giunto quindi il momento di agire. Farsi cloroformizzare dal pensiero che la crisi passerà con un colpo di bacchetta dell’Europa è il pericolo più grave che possiamo correre.