La ghigliottina di Standard & Poor’s stavolta ha risparmiato l’Italia. Il rating del Bel Paese non cambia, anche se resta inchiodato sull’orlo del burrone a BBB-, a un passo dall’inferno dei junk bond. In caso di retrocessione, i fondi pensione del pianeta, i grandi investitori istituzionali, non avrebbero più potuto detenere Bot e Btp. Scampato pericolo? Solo in parte, come ben sa il ministro Pier Carlo Padoan. È lui il promotore della lettera inviata da quattro Paesi del Sud della Comunità. Cioè Italia, Francia, Spagna e Portogallo, alla Commissione europea perché riveda i criteri economici utilizzati per calcolare la crescita potenziale, principio che indica il livello massimo di sviluppo che non genera inflazione. Un tema complesso e opinabile. Secondo Padoan, che è in buona compagnia (vedi l’ex ministro del Tesoro Usa Lawrence Summers, per esempio), nel calcolare la crescita potenziale occorre tener conto della situazione di partenza di un Paese: se si parte da numeri molto bassi è necessario uno sforzo espansivo in più, pena l’avvitamento in recessione.
In concreto, l’Italia rischia, con le attuali regole, di dover varare una manovra correttiva di 16 miliardi circa nel prossimo autunno per rispettare la tabella di rientro dei conti pubblici. Una mazzata in grado di riportare il Paese, oggi in timida ripresa, in recessione. Se cambieranno i riferimenti, come scrive il ministro nel Def, “si potrebbero ridurre le correzioni fiscali richieste all’Italia per i prossimi anni”. Insomma, il rapporto deficit/Pil dell’1,2% per il 2018, previsto dalle regole attuali, potrebbe salire quasi di un punto. Una richiesta tecnica, ma dal rilevante valore finanziario che gli uffici della Commissione hanno già rimandato al mittente: ne possiamo discutere, è stata la risposta, ma se ne parlerà più avanti nelle sedi appropriate. Per ora valgono le regole attuali cui si dovranno adeguare i bilanci dei Paesi membri.
Una doccia fredda che andava messa nel conto. Ma la partita è appena iniziata. E l’Italia, una volta tanto, può contare su alcuni alleati. Ma sarà così? Da lunedì all’Eliseo ci sarà un nuovo presidente, probabilmente Emmanuel Macron, che non sembra così ansioso di aprire la sua stagione con un conflitto con la Germania, con cui intende ricreare un patto solido in ambito europeo. Berlino, intanto, non sembra in vena di nuove concessioni a pochi mesi dalle elezioni. E, tanto per avere un’idea degli umori che circolano in Germania, basta citare l’ironia di Daniel Gros, l’economista tedesco che è un attento osservatore delle cose italiane. “Non si può non rilevare – ha notato – che i quattro Paesi firmatari sono quelli che intendono aumentare la spesa”. Capitanati non a caso dal Bel Paese, che “da almeno vent’anni trova sempre una buona ragione per rinviare il risanamento”. Non sarà facile per Padoan trovare comprensione nelle capitali europee. La sua missione, del resto, non è stata certo facilitata dalle continue richieste di “flessibilità” della stagione Renzi, culminate in nuove spese e più debiti, non negli investimenti promessi.
Si aprirà lunedì una stagione complessa per l’Italia. I mercati, archiviata la corsa all’Eliseo, torneranno a concentrarsi sul rischio Italia. Ormai è partito il conto alla rovescia per la fine del Quantitative easing, gli acquisti di titoli da parte della Bce che hanno sostenuto la domanda di impieghi dell’economia italiana, ma anche ovviato alla fuga di capitali da parte degli investitori. Che accadrà in autunno, se non si individuerà una rotta virtuosa di rientro dal debito, oltre che il contenimento del deficit? Sotto questo profilo la Spagna è messa senz’altro meglio di noi perché a Madrid la crescita del Pil nominale eccede ampiamente il costo medio del debito pubblico e consente quindi di ridurre il rapporto debito-Pil anche in presenza di un deficit primario.
A differenza di quel che capita in Italia, debilitata da continui avanzi primari cui ci condanna l’inefficienza e la volontà di mantenere in vita rendite grandi e piccole sempre più gravose. Prepariamoci a un nuovo autunno caldo. Ma sia ben chiaro: non sarà colpa dell’Europa.