Probabilmente una obiettiva presa di coscienza dei diversi impatti economici – per lei e il Regno Unito ben più sfavorevoli che per l’Europa – è all’origine della netta opposizione di Theresa May al pagamento della “penale” che le viene richiesta per andarsene. Un recentissimo studio commissionato dal Parlamento europeo (An Assessment of the Economic Impact of Brexit on EU27, marzo 2017) giunge alla conclusione che, mentre per l’Ue le perdite appaiono virtualmente insignificanti (eccetto che per qualche sua singola componente, come l’Irlanda, o Cipro), per la Gran Bretagna esse potrebbero essere assai significative, di oltre 10 volte più incidenti sul Pil di quanto sarà per la controparte europea.
Ma veniamo ai numeri, così come rilevati inizialmente, o ricavati, dalla ricerca in esame. Il commercio in beni e servizi tra Uk e Ue consiste (dati al 2015) in esportazioni verso la Gran Bretagna di 306 miliardi di beni e 94 miliardi di servizi, mentre le importazioni ammontano a 184 miliardi in termini di beni e 122 miliardi in servizi (ma sui servizi la cautela sui dati è d’obbligo…). Se ci si limita al valore delle merci esportate la differenza nell’incidenza sui Pil rispettivi è elevatissima: 7,5% per il Regno Unito e solo il 2,5% per l’Europa. Una differenza che includendo i dati (ballerini) dei servizi e dunque contemplando tutto il bilancio estero si attenuerebbe, seppure di poco. Quanto agli investimenti diretti dall’estero, i numeri sono molto maggiori da entrambe le parti: poco meno di 1000 miliardi dall’Europa verso la Gran Bretagna (8,3% del Pil), 683 miliardi verso l’Ue (una quota di Pil superiore al 26%!). Qui però vale la precisazione che , per la metà circa, si tratta di operazioni finanziarie di multinazionali alla ricerca di risparmi tributari.
Gli scenari immaginati dallo studio vanno da quello più “moderato” in cui la Gran Bretagna avrebbe garantito un accesso all’area economica europea come “Paese non membro” (come oggi la Norvegia) a quello più “estremo” in cui non vi sarebbe nessuna relazione preferenziale, ma solo un comune status di Paese membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Tenuto conto dei sopra descritti numeri e scenari – nonché di analoghi studi indipendenti condotti nel frattempo da altri – gli impatti economici ricavati dal team del Parlamento europeo portano a prevedere perdite per entrambe le parti in causa, ma “sproporzionate” tra loro in quantità monetarie in un rapporto di 1:2 o 1:3 per il Regno e l’Ue rispettivamente.
Ricalcolate in base ai Pil, e stante il rapporto 1:5 del Pil britannico rispetto a quello dell’Ue, le perdite di quest’ultima risulterebbero dalle 10 alle 15 volte inferiori a quelle del Regno Unito. Si tratta di un default che – cumulativamente entro il 2030 – per l’Europa sarebbe compreso tra lo 0,11 e lo 0,52% del Pil a seconda dello scenario (ottimistico o pessimistico) immaginato, mentre per il Regno Unito sarebbe compreso tra l’1,31% e il 4,21% del proprio Pil.
Espresse su base annua, tali perdite si profilerebbero dell’ordine dello 0,011-0,052% per l’Europa e dello 0,13-0,41% per la Gran Bretagna. Siamo a livelli inferiori a quelli calcolati dal Tesoro inglese che include nel suo modello anche i mancati investimenti diretti dall’estero: 7,5% del Pil, ovvero lo 0,75% annuo: ma in questo caso il confronto con l’Europa risulta impossibile perché per essa non sono disponibili i dati sugli investimenti diretti.
“Gli autori dei modelli previsivi sarebbero i primi a riconoscere che le loro ricerche non possono coprire tutti i possibili impatti della Brexit”, affermano i curatori dello studio qui preso in considerazione, proprio perché tali impatti dipenderanno anche dal “clima” nel quale si svolgeranno le trattative. “L’effettivo contesto politico è soggetto a un livello di incertezza strategica senza precedenti”, il che può avere solo un effetto ancor più scoraggiante di quello immaginabile in uno scenario di trattative tranquille. Per esempio, cosa succederebbe se la Gran Bretagna adottasse misure concorrenziali aggressive, e l’Ue rispondesse con misure ancor più restrittive verso le merci britanniche? “Un tale scenario di misure e contromisure negative a spirale non si può immaginare a priori e anzi si spera possa essere evitato”. Fermo restando che, per quanto ciò possa peggiorare gli esiti leggeri immaginati per l’Europa dallo studio qui riportato, è fuori discussione che la gran parte dei costi aggiuntivi legati a una trattativa “incattivita” (più barriere, più dazi) sarebbe sopportata dal Regno Unito.
E con ciò siamo tornati all’incipit di questo commento…