«Il cambiamento doveva esserci e questo è un bene perché, secondo la regola europea, anche se delle quote azionarie in un’azienda privata sono detenute da un soggetto pubblico, questo deve comunque comportarsi come un normale investitore privato, senza quindi poter esercitare diritti speciali e usufruire di aiuti particolari che ovviamente andrebbero ad alterare le regole della concorrenza». Stefano Riela, docente di Politica economica europea, commenta in questa intervista per IlSussidiario.net l’approvazione in Consiglio dei ministri della riforma della cosiddetta “Golden share”. Si tratta di una norma che tutela le società che operano in settori strategici come l’energia, la difesa, le comunicazioni e i trasporti, ed è stata messa in campo dal governo per cercare di mettere fine alla procedura d’infrazione, aperta nel 2009 dalla Commissione europea, in relazione alla legislazione attualmente in vigore in Italia.
Come si legge sul sito del governo, “il termine Golden share indica comunemente l’istituto giuridico, di origine anglosassone, grazie al quale un Governo può esercitare poteri speciali a seguito della privatizzazione o della vendita di parte del capitale di un’impresa pubblica. La normativa, introdotta negli anni Novanta del secolo scorso, in concomitanza con l’avvio dei processi di privatizzazione delle imprese pubbliche, mira a salvaguardare l’interesse della società civile del Paese interessato”. La norma, come detto, è rivolta in particolare al “settore della difesa e della sicurezza nazionale, in caso di minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza”, mentre per quanto riguarda “i settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni è prevista anzitutto una notifica al Governo delle delibere adottate da una società che abbia per effetto modifiche della titolarità, la fusione o la scissione”.
Come ci spiega il professor Riela, «la “share” è una caratteristica coerente con le regole del mercato comune liberalizzato, ma il problema è rappresentato dall’aggettivo “golden”: proprio perché il soggetto pubblico che detiene le azioni in un’azienda deve comportarsi come un normale azionista privato, l’aggettivo “golden” non dovrebbe esserci». Per quanto riguarda invece la scelta settoriale e i servizi che comprendono quelli citati dalla nuova legge, come difesa, comunicazioni, trasporti ed energia, «si può regolamentare in deroga alle regole stringenti della concorrenza. Quindi, se in alcuni settori vengono attuate regole stringenti ma applicate in maniera efficace da un’autorità indipendente con determinati poteri, la nazionalità del soggetto che va a comprare e a controllare dal punto di vista azionario una società non è più così fondamentale. In poche parole, la bandiera di chi mette i soldi può non essere considerata una caratteristica importante, naturalmente solo nel caso in cui si riescano a fare per dei settori così strategici delle regole sufficientemente valide, garantite da un controllo efficace. Mettere quindi in campo delle restrizioni di natura nazionale, a mio giudizio è un passo indietro che non porta a un quadro regolamentativo efficace».
Stefano Riela ci parla poi di un altro aspetto, che riguarda i fondi sovrani: «Un normale investitore privato, che entra in un determinato settore, ha come unico obiettivo quello di fare profitto. Il problema dei fondi sovrani, specialmente quelli in cui la parte sovrana è costituita da governi o autorità che non hanno un controllo o una legittimazione democratica, è che avendo elevate risorse finanziarie dovute alle risorse che esportano, il loro interesse può non essere il semplice profitto. Allora in questo caso la “bandiera” di chi investe può avere la sua importanza, ma, come detto all’inizio, se lo Stato si dota di regole che fissano paletti su come un servizio deve essere offerto, quale deve essere il prezzo, la qualità, a quel punto, anche se arriva un fondo sovrano – o un fondo europeo – non ci si dovrebbe preoccupare, perché ci sarà un’autorità a sorvegliare sui comportamenti economici dell’azienda».
(Claudio Perlini)